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L’ultimo rigore di Faruk

Il problema dei Balcani è che «producono molta più storia di quanta ne possano consumare»

Winston Churchill

L’ultimo rigore di Faruk: un rigore può cambiare la storia?

“Occupati di Politica Internazionale, il calcio è una cosa troppo seria”, così Diego Armando Maradona in una delle sue memorabili e pungenti battute, si rivolse all’autore del Libro, Gigi Riva ( caporedattore dell’Espresso). L’ultimo rigore di Faruk, in effetti, scivola via leggero sul filo incrociato della storia sportiva di una squadra di calcio, la Jugoslavia di Italia ’90, e la disgregazione della Repubblica che fu di Tito.  Un testo che si può definire essenziale per gli amanti del genere.

Un uragano raccontato dal centro del ciclone. La storia sportiva narra di una squadra ricchissima di quel talento puro, incostante e cristallino tipico dei giocatori balcanici (i giovanissimi croati Boksic, Suker, Procineski, il genio macedone di Dejan Savicevic, l’esperto e fortissimo Susic, per informazioni chiedere a Parigi, ma soprattutto quello del “maradona dell’est”, Pixie Stojcovic)  di un allenatore burbero (Osim) con la stampa ma convinto delle sue idee che come un paziente alchimista compone la sua squadra ricercando l’equilibrio perfetto, di alcuni dirigenti capaci ed illuminati,  e di un mondiale, quello nostro, quello d’Italia 90 al quale la Jugoslavia è una delle possibili rivelazioni. Fin qui tutto molto chiaro: la storia sportiva si interrompe intorno alle 19:30 di una caldo pomeriggio estivo fiorentino, sul dischetto del quarto di finale Argentina-Jugoslavia si presenta il capitano della rappresentativa, l’esperto Faruk Hadzibegic, dall’altra parte uno dei protagonisti indiscussi della competizione, il portiere che farà piangere anche l’Italia, Goycochea. Il Goyco, intuisce, vola a destra e para. Argentina in semifinale. Jugoslavia eliminata.

Quel rigore sbagliato, però non è solo la fine di un sogno sportivo, è l’ultimo fotogramma della nazionale jugoslava ad un mondiale di calcio. E’ l’atto finale. A questo punto la storia sportiva si ferma, inizia quella sociale-politica e quel penalty viene caricato di altri significati: quella squadra, quell’allenatore tanto bistrattato, quel mondiale potevano essere l’ultimo argine al processo disgregativo. Così il protagonista, Faruk ancora oggi diviene l’uomo del “ah.. se avesse segnato quel rigore” perché solamente grazie a quel team, seppur timidamente sventolarono per l’ultima volta le bandiere della Jugo in tutte le repubbliche balcaniche. Cosa sarebbe successo se avessero vinto quel mondiale? Cosa sarebbe successo se Faruk non avesse sbagliato quel rigore?

Inizia il tempo di rimpianti e dei rimorsi non tanto per il mondiale ma per tutti i morti, le atrocità indicibili che quelle guerre civili hanno portato con sé.  Lo sport, invece, ha provato ad unire, fino alla fine: nello stesso spogliatoio convivano sloveni, croati, serbi, macedoni. Lottavano per lo stesso sogno, mentre nelle loro case, già qualcuno aveva gettato le basi per dividerli e vederli gli uni agli altri armati. Osim, oltre ad occuparsi di tattica, doveva assumere il ruolo di diplomatico internazionale per schierare e dare visibilità ai giocatori di varie etnie, per smorzare ed evitare sul nascere diatribe esterne.

rigore-farukLettura forzata, può darsi, ma non si avrà mai la controprova.  La Jugoslavia nella stessa estate vincerà il mondiale di basket, disputato proprio in Argentina, ma non cambierà nulla. Il rapporto tra sport e politica, specie nei regimi dittatoriali è viscerale. Nei balcani diventa ancor più stretto e perverso.  Se in quella nazionale, le vicende umane, le tensioni e le preoccupazioni hanno cementato un gruppo che cercava nelle differenze etniche di unire, nelle curve della Stella Rossa, della Dinamo Zagabria, crescono e si fomentano i gruppi militari che saranno i protagonisti delle sanguinose battaglie ( ce ne siamo occupati già qui).

Molti calciatori, successivamente, prenderanno pubblicamente posizione: su tutti Mihajlovic che nel ”92 donò la Coppa Campioni, vinta dalla sua Stella Rossa, al comandante Arkan che attendeva come un capo di Stato la squadra all’aeroporto di Belgrado. La tigre, che negli anni successivi a suon di minacce e intimidazioni portò da Presidente una squadra sconosciuta, Fk Oblic, in Champions League ( la riprova di quanto il calcio non sia solo un gioco da quelle parti) pronunciò la celebre e infelice frase: “ Voi mi avete portato la Coppa, io vi porgo la Terra di Slavonia”.

L’ultimo rigore di Faruk: il discorso del Capitano

La fine della storia, la racconta con un discorso da Capitano vero, il nostro eroe triste ma soprattutto involontario. E’ il  25 marzo 1992, dopo l’amichevole Olanda-Jugoslavia, chiude così: «Ragazzi, sapete quanto io sia attaccato a questa maglia. L’ho difesa contro tutto e tutti. È stato il mio sogno di bambino che si è avverato. Ho tenuto duro sino adesso. Siamo arrivati fin qui, ci aspetterebbe il campionato europeo. Ma non posso più giocare in queste condizioni. Ora che la mia città, la mia gente, sono bombardate. Ora che la guerra è arrivata nella mia Sarajevo. Io sono il capitano, io mi assumo la responsabilità di sciogliere la squadra. Perché la nazionale di calcio jugoslava non esiste più». La storia cruda, ribalta, distrugge e fa a brandelli l’epopea sportiva. Un disegno tanto crudo quanto verosimile alla brutale realtà. Lo stesso autore ci ricorda amaramente la perdita dell’innocenza, “innocente lo è, il calcio, quando si ostina a persistere tale nello sguardo di bambino verso una palla che rotola, nel piacere profondo di un cross ben riuscito, un colpo di testa, un tiro all’incrocio, una parata nell’angolino. La parata nell’angolino…”

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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  1. Mauro Stracqualursi
    Mauro Stracqualursi

    PORTIERI
    Begovic (Bosnia-Erzegovina, Chelsea)
    Handanovic (Slovenia, Inter)
    Oblak (Slovenia, Atlético Madrid)

    DIFENSORI
    Ivanovic (Serbia, Chelsea)
    Kolarov (Serbia, Manchester City)
    Maksimovic (Serbia, Napoli)
    Savic (Montenegro, Atlético Madrid)
    Srna (Croazia, Shakhtar Donetsk)
    Vida (Croazia, Dinamo Kiev)
    Subotic (Serbia, Borussia Dortmund)

    CENTROCAMPISTI
    Rakitic (Croazia, Barcellona)
    Ilicic (Slovenia, Fiorentina)
    Kovacic (Croazia, Real Madrid)
    Matic (Serbia, Chelsea)
    Modric (Croazia, Real Madrid)
    Perisic (Croazia, Inter)
    Pjanic (Bosnia-Erzevigovina, Juventus)

    ATTACCANTI
    Dzeko (Bosnia-Erzegovina, Roma)
    Jovetic (Montenegro, Inter)
    Kalinic (Croazia, Fiorentina)
    Ljajic (Serbia, Torino)
    Mandzukic (Croazia, Juventus)
    Mitrovic (Serbia, Newcastle)

    Questo sarebbe l’undici ideale (4-1-4-1): Handanovic; Ivanovic, Maksimovic, Savic, Kolarov; Modric; Ljajic, Pjanic, Rakitic, Perisic; Mandzukic.
    Non male come squadra.

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