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Le elezioni francesi, le destre e la responsabilità della sinistra

L’avanzata trionfale e la successiva clamorosa vittoria del Front National in Francia ha aperto una riflessione ampia, specialmente nelle varie sinistre, sul come sia stato possibile giungere a questo risultato clamoroso ed impensabile, fino ad alcuni anni fa. Attualmente la risposta dei diretti interessati, il partito socialista Francese, è stata la desistenza: meglio appoggiare i popolari di Sarkozy che permettere alla destra xenofoba e populista di rafforzare la propria vittoria.  Sarebbe troppo facile ma soprattutto politicamente inesatto leggere questo trionfo solamente come conseguenza dei drammatici attentati di Parigi. Forse, però, basta solamente questa mancata risposta per spiegare il momento di grave difficoltà dei tradizionali partiti social-democratici causato dall’appiattimento totale e completo verso politiche di destra e neo-liberiste. La mancanza di un’alternativa popolare profonda, l’assenza totale di politiche per la diminuzione delle disuguaglianze e di una spinta propulsiva che possa creare un nuovo new deal, la mancata risposta a quelle domande di innovazione sociale e civile che vengono da troppo tempo disattese, ma soprattutto l’incapacità di elaborare una prospettiva economica diversa che finalmente metta al centro la lotta alle disuguglianze e lo sviluppo sostenibile. Forse è in tutti questi motivi che dobbiamo andare a scovare le cause della vittoria lepenista. Ed è bene anche e subito chiarire un aspetto: il Front National prende voti soprattutto nelle fasce medio-basse, nel popolo, quello che una volta era la base elettorale del centro-sinistra francese. In molti credono che destra e sinistra non esistano più, ma personalmente ritengo valida l’azione contraria: se non affermiamo con forza i contenuti, i valori costituenti basati sull’uguaglianza, sulla laicità e sui diritti, se non si rimarcano con forza e determinazione i confini tra le varie culture politiche che non possono essere schiave di un unico pensiero economico, tra poco ci sarà lo spazio solo per gli estremismi e le forze reazionarie.

Marine le Pen- Matteo renzi- Maria Elena boschiEd è tutto qui, in questa catena tra causa ed effetto che si possono leggere diversi atteggiamenti anche nel nostro Paese su questa nuova stagione politica. E’ di pochi giorni fa la lettera dei sindaci Doria, Zedda e Pisapia che invocavano l’unità del centro-sinistra per riproporre una nuova stagione “arancione”.

Ma quello schema ad oggi è di nuovo percorribile? Esiste ancora? La risposta per me è no, essenzialmente perché da ormai 3 anni a questa parte sta governando un altro sistema, quello delle grandi intese: Pd e NCd ma anche Forza Italia, prima. Non può essere un caso se questo schema ha rafforzato due partiti fuori dagli schemi tradizionali: la cugina italiana “sciocca” del Front Nazional, La lega Nord di Salvini, e da altro canto una forza particolare ed eterogenea come il M5S che proprio su questo, per loro finto dualismo destra-sinistra ha iniziato la sua fortuna. I primi tre cittadini invocano l’unità contro l’avanzata dei populismi: unità che significa essenzialmente coalizione con il Pd autore sotto la “gestione Renzi” di riforme che sono andate in perfetta contrapposizione al modello arancione. Così puntuale come un orologio svizzero, arriva a sostegno della mia tesi, la lettera del renzianissimo Sindaco di Firenze, Dario Nardella: ” Il Pd deve essere un partito capace di parlare a tutti gli italiani, superando i vecchi paradigmi dei partiti del secolo scorso. Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. Dobbiamo costruire un’alternativa del tutto nuova”. “Il Partito della Nazione o il partito del premier” chiede Cazzullo? “Non mi appassionano i nomi. Ma la formula è quella. L’importante è che sia un partito legato alla dimensione del governo, non della lotta…”

Tornando alle comunali, un modello che potrebbe andare da Sala a Bassolino non si capisce cosa avrebbe di simile con il precedente a meno che non si pensi che un programma amministrativo sia la mera somma algebrica dei simboli  della coalizione. Insomma a forza di fare il meno peggio, ci siamo avvicinati al peggio correndo sempre di più verso destra  (poi non si capisce mai perché la sinistra per essere moderna deve essere simile alla destra).

O si cambia, eppure in fretta, prendendosi rischi, lasciando le poltrone facili, lavorando sui territori per i territori oppure il futuro che ci aspetterà non sarà dissimile a quello francese.

 

 

 

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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  1. Valerio Antonelli

    La disamina è parzialmente corretta e l’articolo ben scritto, ma mi permetto di dire parzialmente poichè, a mio modesto parere, l’idea di una Sinistra che torna tra le persone e che torna ad essere il grande calderone della Prima Internazionale o peggio del governo Prodi mi appare del tutto irrealistica. La Sinistra con la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica ha iniziato a far parte di quel sistema di nomine, poltrone, arrivisti ed accattoni da cui stoicamente Berlinguer aveva tenuto lontano o quasi il PCI per vent’anni. La Sinistra di oggi è liberista e Berlusco-renziana. Il jobs act, la riforma della pubblica amministrazione, la riforma del Senato della Repubblica e quella delle province sono assolutamente manovre di una destra reazionaria. Badate bene non sono riforme di centro-destra, sfido un governo popolare a fare determinate scelte. Quella che sta avvenendo è una deriva conservatrice a livello mondiale. L’unica speranza di rinnovamento è la rivoluzione a 5 stelle. Non credo di dover dare spiegazioni in proposito.

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