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LIB(e)RO PENSIERO n. 11 – Non siate coloni indifferenti!

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<< Cosa mi importa, dopotutto, che vi sia un’autorità sempre pronta, che veglia a che i miei piaceri siano tranquilli, che vola avanti a me per allontanare i pericoli dal mio cammino, senza che io abbia bisogno di pensare a tutto questo; se questa autorità, nel tempo stesso che allontana le più piccole spine sul mio passaggio, è padrone assoluta della mia libertà e della mia vita; se monopolizza il movimento e l’esistenza al punto che quando essa languisce, languisce tutto intorno a lei, che tutto dorme quando essa dorme, che tutto perisce quando essa muore?

Vi sono in Europa certe nazioni in cui l’abitante si considera come una specie di colono indifferente al destino del luogo in cui abita. I più grandi cambiamenti sopravvengono nel suo paese senza il suo concorso; egli non sa precisamente quel che è successo e ne dubita, poichè ha inteso parlare dell’avvenimento per caso. Non solo, ma il patrimonio del suo villaggio, la pulizia della sua strada, la sorte della sua chiesa e della sua parrocchia, non lo toccano affatto; egli pensa che tutte queste cose non lo riguardino in alcun modo, poichè appartengono ad un estraneo potente, che si chiama governo. Quanto a lui, non è che l’usufruttuario di questi beni, senza spirito di proprietà e senza idee di miglioramento. Questo disinteresse di se stesso si spinge tanto in la che se la sua sicurezza o quella dei suoi figli è compromessa, invece che cercare di allontanare il pericolo, egli incrocia le braccia per attendere che l’intera nazione corra in suo aiuto. Quest’uomo, del resto, benchè abbia sacrificato completamente il suo libero arbitrio, non ama l’obbedienza più degli altri; si sottomette, è vero, al beneplacido di un impiegato, ma si compiace anche di sfidare la legge come un nemico vinto, quando la forza si ritira. Così oscilla senza tregua fra la servitù e la licenza.

Quando le nazioni sono giunte a questo punto, bisogna o che modificano le loro leggi e i loro costumi, o che periscano, poichè la fonte delle loro virtù vi si è essiccata: vi sono ancora sudditi, ma non più cittadini.

Io dico che simili nazioni sono in condizione di essere conquistate. Esse non scompaiono dalla scena del mondo, sia perchè sono circondate da nazioni simili o inferiori a loro, sia perchè sopravvive in loro una specie di istinto indefinibile della patria, un orgoglio irriflessivo del nome che essa porta, un vago ricordo della gloria passata: tutte cose che, senza essere unite precisamente a nulla, basta per imprimere loro, all’occorrenza, un impulso conservatore.

[…]

Non dipende dalle leggi rianimare le credenze che si estinguono; ma dipende dalle leggi interessare gli uomini al destino del loro paese. Dipende dalle leggi risvegliare e dirigere quell’istinto vago della patria che non abbandona mai l’uomo, e, legandolo ai pensieri, alle passioni, alle abitudini, farne un sentimento ragionevole e duraturo. E non si dica che è troppo tardi per tentar ciò, perchè le nazioni non invecchiano allo stesso modo degli uomini e ogni generazione che si succede in esse è come un popolo nuovo che viene a offrirsi alle cure del legislatore>>.

 

Alexis De Tocqueville (1840), La democrazia in America, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 1999.

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"Quando non si conosce la verità di una cosa, è bene che vi sia un errore comune che fissi la mente degli uomini. La malattia principale dell'uomo è la malattia inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell'errore che in quella curiosità inutile".

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