Home / Cultura / Libri / Lib(e)ro Pensiero / LIB(e)RO PENSIERO n. 32 – Partenze, arrivi, incontri e smarrimenti

LIB(e)RO PENSIERO n. 32 – Partenze, arrivi, incontri e smarrimenti

binari notte«Le stazioni si somigliano tutte; poco importa se le luci non riescono a rischiarare più in là del loro alone sbavato, tanto questo è un ambiente che tu conosci a memoria, con l’odore di treno che resta anche dopo che tutti i treni sono partiti, l’odore speciale delle stazioni dopo che è partito l’ultimo treno. Le luci della stazione e le frasi che stai leggendo sembra abbiano il compito di dissolvere più che di indicare le cose affioranti da un velo di buio e di nebbia. Io sono sbarcato in questa stazione stasera per la prima volta in vita mia e già mi sembra d’averci passato una vita, entrando e uscendo da questo bar, passando dall’odore della pensilina all’odore di segatura bagnata dei gabinetti, tutto mescolato in un unico odore che è quello dell’attesa, l’odore delle cabine telefoniche quando non resta che recuperare i gettoni perché il numero chiamato non dà segno di vita.

Io sono l’uomo che va e viene tra il bar e la cabina telefonica. Ossia; quell’uomo si chiama «io» e non sai altro di lui, così come questa stazione si chiama soltanto «stazione» e al di fuori di essa non esiste altro che il segnale senza risposta d’un telefono che suona in una stanza buia d’una città lontana. Riattacco il ricevitore, attendo lo scroscio di ferraglia giù per la gola metallica, ritorno a spingere la porta a vetri, a dirigermi verso le tazze ammucchiate ad asciugare in una nuvola di vapore.

Le macchine-espresso nei caffè delle stazioni ostentano una loro parentela con le locomotive, le macchine espresso dì ieri e di oggi con le locomotive e i locomotori di ieri e di oggi. Ho un bell’andare e venire, girare e dar volta: sono preso in trappola, in quella trappola atemporale che le stazioni tendono immancabilmente. Un pulviscolo di carbone ancora aleggia nell’aria delle stazioni dopo tanti anni che le linee sono state tutte elettrificate, e un romanzo che parli di treni e stazioni non può non trasmettere quest’odore di fumo. E già da un paio di pagine che stai andando avanti a leggere e sarebbe ora che ti si dicesse chiaramente se questa a cui io sono sceso da un treno in ritardo è una stazione d’una volta o una stazione d’adesso; invece le frasi continuano a muoversi nell’indeterminato, nel grigio, in una specie di terra di nessuno dell’esperienza ridotta al minimo comune denominatore. Sta’ attento: è certo un sistema per coinvolgerti a poco a poco, per catturarti nella vicenda senza che te ne renda conto: una trappola. O forse l’autore è ancora indeciso, come d’altronde anche tu lettore non sei ben sicuro di cosa ti farebbe più piacere leggere: se l’arrivo a una vecchia stazione che ti dia il senso d’un ritorno all’indietro, d’una rioccupazione dei tempi e dei luoghi perduti, oppure un balenare di luci e di suoni che ti dia il senso d’essere vivo oggi, nel modo in cui oggi si crede faccia piacere essere vivo. […]

Qualcosa mi dev’essere andata per storto: un disguido, un ritardo, una coincidenza perduta; forse arrivando avrei dovuto trovare un contatto, probabilmente in relazione a questa valigia che sembra preoccuparmi tanto, non è chiaro se per timore di perderla o perché non vedo l’ora di disfarmene. Quello che pare sicuro è che non è un bagaglio qualsiasi, da poterlo consegnare al deposito bagagli o far finta di dimenticarlo nella sala d’aspetto. E inutile che guardi l’orologio; se qualcuno era venuto ad aspettarmi ormai se n’è andato da un pezzo; è inutile che mi arrovelli nella smania di far girare all’ indietro gli orologi e i calendari sperando di ritornare al momento precedente a quello In cui è successo qualcosa che non doveva succedere. Se in questa stazione dovevo incontrare qualcuno, che magari non aveva niente a che fare con questa stazione ma solo doveva scendere da un treno e ripartire su un altro treno, così come avrei dovuto fare io, e uno dei due doveva consegnare qualcosa all’altro, per esempio io dovevo affidare all’altro questa valigia a rotelle che invece è rimasta a me e mi brucia le mani, allora l’unica cosa da fare è cercare di ristabilire il contatto perduto.

Già un paio di volte ho attraversato il caffè e mi sono affacciato alla porta che dà sulla piazza invisibile e ogni volta il muro di buio mi ha ricacciato indietro in questa specie di limbo illuminato sospeso tra le due oscurità del fascio dei binari e della città nebbiosa. Uscire per andare dove? La città là fuori non ha ancora un nome, non sappiamo se resterà fuori del romanzo o se lo conterrà tutto nel suo nero d’inchiostro. So solo che questo primo capitolo tarda a staccarsi dalla stazione e dal bar: non è prudente che mi allontani di qui dove potrebbero ancora venirmi a cercare, né che mi faccia vedere da altre persone con questa valigia ingombrante. Perciò continuo a ingozzare di gettoni il telefono pubblico che me li risputa ogni volta: molti gettoni, come per una chiamata a lunga distanza: chissà dove si trovano, ora, quelli da cui devo ricevere istruzioni, diciamo pure prendere ordini, è chiaro che dipendo da altri, non ho l’aria d’uno che viaggia per una sua faccenda privata o che conduce degli affari in proprio: mi si direbbe piuttosto un esecutore, una pedina in una partita molto complicata, una piccola rotella d’un grosso ingranaggio, tanto piccola che non dovrebbe neppure vedersi: difatti era stabilito che passassi di qui senza lasciare tracce: e invece ogni minuto che passo qui lascio tracce: lascio tracce se non parlo con nessuno in quanto mi qualifico come uno che non vuole aprir bocca: lascio tracce se parlo in quanto ogni parola detta è una parola che resta e può tornare a saltar fuori in seguito, con le virgolette o senza le virgolette. […]

ombra scarpeSono una persona che non dà affatto nell’occhio, una presenza anonima su uno sfondo ancora più anonimo, se tu lettore non hai potuto fare a meno di distinguermi tra la gente che scendeva dal treno e di continuare a seguirmi nei miei andirivieni tra il bar e il telefono è solo perché io mi chiamo «io» e questa è l’unica cosa che tu sai di me, ma già basta perché tu ti senta spinto a investire una parte di te stesso in questo io sconosciuto.»…

Italo Calvino, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, Mondadori, Milano 2000.

Gli altri LIB(e)RO PENSIERO: http://www.lindifferenziato.com/category/cultura/libri/libero-pensiero-libri/

Commenti

commenti

Notizie su Mirco Zurlo

Mirco Zurlo
"Quando non si conosce la verità di una cosa, è bene che vi sia un errore comune che fissi la mente degli uomini. La malattia principale dell'uomo è la malattia inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell'errore che in quella curiosità inutile".

Rispondi

Il tuo indirizzo eMail non sarà Pubblicato.I campi obbligatori sono contrassegnati. *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Sali