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LIB(e)RO PENSIERO n. 17 – L’assassinio sociale

<< Una città come Londra dove si può camminare per ore senza vedere neppure l’inizio della fine, senza incontrare il benché minimo segno che faccia supporre la vicinanza dell’aperta campagna, è certo qualcosa di singolare. Questa immensa concentrazione, questa agglomerazione di due milioni e mezzo di uomini in un solo punto, ha centuplicato la forza di questi due milioni e mezzo; ha innalzato Londra al rango di capitale commerciale del mondo, ha creato giganteschi docks e radunato le migliaia di bastimenti che ricoprono in permanenza il Tamigi. Non conosco nulla di più imponente della vista che offre il Tamigi quando dal mare si risale verso il London Bridge. Gli ammassi di case, i cantieri navali da ambedue i lati del fiume, soprattutto dopo Woolwich, gli innumerevoli bastimenti che si accalcano sempre più fitti lungo le due rive e da ultimo non lasciano libero che uno stretto passaggio nel mezzo del fiume, un passaggio nel quale sfrecciano uno attaccato all’altro decine e decine di piroscafi: tutto ciò è così grandioso, così immenso da dare le vertigini, e si resta sbalorditi dalla grandezza dell’Inghilterra ancor prima di mettere piede sul suolo inglese.
assassinio socialeMa è solo in seguito che si scopre quanti sacrifici sia costato tutto ciò. Dopo aver calcato per qualche giorno il selciato delle strade principali, dopo esser penetrati con grande fatica nel brulichio umano, tra le file interminabili di carri e carrozze, dopo aver visitato i “quartieri brutti” della metropoli, soltanto allora si rileva che questi londinesi hanno dovuto sacrificare la parte migliore della loro umanità per compiere tutti quei miracoli di civiltà di cui la loro città è piena, che centinaia di forze latenti in essi sono rimaste inattive e sono state soffocate affinché alcune poche potessero svilupparsi più compiutamente e moltiplicarsi mediante l’unione con quelle di altri. Già il traffico delle strade ha qualcosa di repellente, qualcosa contro cui la natura umana si ribella. Le centinaia di migliaia di individui di tutte le classi e di tutti i ceti che si urtano tra loro non sono tutti esseri umani con le stesse qualità e capacità, e con lo stesso desiderio di essere felici? e non devono forse tutti, alla fine, ricercare la felicità per le stesse vie e con gli stessi mezzi? Eppure si passano accanto in fretta come se non avessero nulla in comune, nulla a che fare l’uno con l’altro, e tra loro vi è solo il tacito accordo per cui ciascuno sul marciapiede tiene la destra, affinché le due correnti della calca, che si precipitano in direzioni opposte, non si ostacolino a vicenda il cammino; eppure nessuno pensa di degnare gli altri di uno sguardo. La brutale indifferenza, l’insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in modo tanto più ripugnante ed offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in nessun luogo esso si rivela in modo così sfrontato e aperto, così consapevole come qui, nella calca della grande città. i nuovi poveriLa decomposizione dell’umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di vita particolare e uno scopo particolare, il mondo degli atomi è stato portato qui alle sue estreme conseguenze. È per questo che la guerra sociale, la guerra di tutti contro tutti, è dichiarata qui apertamente. Gli uomini considerano gli altri soltanto come oggetti utilizzabili; ognuno sfrutta l’altro, e ne deriva che il più forte si mette sotto i piedi il più debole, e che i pochi forti, cioè i capitalisti, si impadroniscono di tutto, mentre ai molti deboli, ai poveri, a malapena resta la nuda vita.

E ciò che vale per Londra vale anche per Manchester, Birmingham e Leeds, vale per tutte le grandi città. Dappertutto barbara indifferenza di fronte alla miseria, duro egoismo da un lato, e una miseria indicibile dall’altro, dappertutto la guerra sociale (…). E’ lampante che tutti gli svantaggi di una tale situazione ricadano sul povero. Nessuno si cura di lui. Afferrato dal vortice selvaggio, deve cercare di cavarsela come può, se è tanto fortunato da trovare lavoro, cioè se la borghesia gli consente di arricchirsi per suo mezzo, lo attende un salario che gli è appena sufficiente per mantenersi in vita; se non trova lavoro può rubare, ove non tema la polizia, oppure morire di fame, e anche qui la polizia si prenderà cura di far si che egli muoia in silenzio, senza offender la borghesia. Durante la mia permanenza in Inghilterra almeno trenta persone sono morte di fame, in modo da suscitare la più viva indignazione. Molto più numerosi sono i morti per fame non direttamente, ma indirettamente, in quanto la mancanza di mezzi sufficienti di sussistenza ha provocato malattie mortali e mietuto così le sue vittime, portando necessariamente a gravi malattie e alla morte. Gli operai inglesi chiamano ciò assassinio sociale, e accusano l’intera società di commettere continuamente questo crimine. Hanno forse torto?

[…]

Se queste conclusioni che io traggo qui non dovessero apparire sufficientemente fondate, si troverà certamente occasione in altra sede di dimostrare come esse siano un risultato inevitabile dello sviluppo storico dell’Inghilterra. Ma io rimango del parere che la guerra dei poveri contro i ricchi, che oggi viene già condotta in maniera isolata e indiretta in Inghilterra, verrà attuata anche in forma generale, totale e diretta. E’ troppo tardi per una soluzione pacifica. Le classi vanno separandosi in modo sempre più netto, lo spirito di resistenza compenetra sempre più gli operai, il risentimento cresce, le singole scaramucce da guerriglia confluiscono in più estesi combattimenti e dimostrazioni, e ben presto una piccola spinta basterà a mettere in moto la valanga. Allora certamente risuonerà per tutto il paese il grido di: “Guerra ai palazzi, pace alle capanne!”, ma allora sarà troppo tardi perché i ricchi possano ancora mettersi in guardia >>.

 

F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845), Editori Riuniti, Roma 1972.

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"Quando non si conosce la verità di una cosa, è bene che vi sia un errore comune che fissi la mente degli uomini. La malattia principale dell'uomo è la malattia inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell'errore che in quella curiosità inutile".

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