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La forza del pensiero e della libertà: Utoya e Suruc

Nulla fino a pochi giorni fa univa Utoya e Suruc. Anzi, ad essere sinceri, nulla fino a pochi anni fa avrebbe riportato all’attenzione mondiale città così distanti e diverse tra loro. Nulla, poteva farlo, tranne la forza dirompente della storia che come canta il “Principe” non si ferma davvero davanti a un portone, entra dentro le stanze, le brucia, dà torto e dà ragione. Se uniamo con una retta virtuale queste città ci accorgiamo che ad essere attraversata è  l’Europa nella sua interezza e il fatto, in questi giorni così complessi per il vecchio continente, non può passare inosservato. In mezzo ci sono religioni, popoli, civiltà, progresso ma anche tanti vecchi e nuovi problemi. In mezzo c’è un’identità da (ri)costruire.

Utoya-Suruc: la distanza tra le due città.A Utoya in una piccola isola norvegese, Anders Brevik, un esaltato fondamentalista cristiano di estrema destra, uccise 69 giovani tra i 14 e i 20 anni che erano sull’isola per un camp organizzato dal partito laburista norvegese.  Era il 22 luglio 2011. A Suruc, nella Turchia sud-orientale, pochi giorni fa l’Isis con un attentato ha ucciso 32 ragazzi della giovanile socialiste curde che stavano organizzando una missone umanitaria per Kobane, in Siria. Volevano portare aiuti, organizzare un parco giochi e creare una biblioteca. Volevano per dirla con un gergo tanto brutto quanto frequente nel nostro Paese, aiutare a casa loro.

Giovani animati da forti ideali e da una sana spensieratezza: l’Europa, se vuole rinascere, dovrebbe partire proprio da loro, da quegli sguardi, da quelle voglia di partecipare, di mettersi in gioco ma soprattutto di provare a cambiare nel profondo le cose. Perché sono stati colpiti proprio loro? Perché agli estremisti e agli intolleranti, nulla fa più paura del pensiero e la sete di libertà vince sempre sull’inerzia e sulla paura. Sull’indifferenza.

Idee, democrazia e coraggio: il contratto sociale della Rovaja

Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli“.

Poche righe e un sogno: coordinare le minoranze dell’area turco-siriana e dare un futuro libero e democratico a questi popoli da sempre vittime di soprusi e discriminazioni. Coraggio, idee e sviluppo, un processo da fermare con il tritolo per i taglia-gole dell’Isis. Martina Bianchi, cooperatrice italiana nella zona, su Possibile spiega con solerzia il progetto. “Alla fine del 2012 le 3 regioni a maggioranza curda nel nord della Siria di Jazira, Kobane e Afrin, hanno costruito una forma di autogoverno per rispondere al crollo del governo siriano. Questo esperimento è partito ufficialmente nel gennaio 2014 in cui questi “cantoni” hanno riunito un’assemblea costituente aperta alla società civile e hanno scritto una Costituzione detta “Carta del contratto sociale” di Rojava, avanzatissima anche rispetto alle costituzioni europee, con principi come pieni diritti alle donne, condivisione dei beni comuni e delle risorse naturali, rispetto dell’equilibrio ecologico.
Per arrivare a questo hanno studiato la Repubblica romana e la Repubblica di San Marco del 1948, Gramsci, Rosseau, l’anarchismo ecologico di Bookchin e si sono ispirati alle autonomie del Chapas: comunità che si autogestiscono federate in una sorta di confederalismo democratico. Qualsiasi carica, dalle municipalità, alle gerarchie militari, ai responsabili di quartiere, è doppia: formata quindi da un uomo e da una donna. L’assemblea legislativa di Rojava che raggruppa i 3 cantoni è formata al 40% da uomini, al 40% da donne e al 20% è variabile a seconda delle preferenze.”

Il progetto, però, non è ben visto neanche dal Governo di Ankara che ha chiuso il confine e che non manda aiuti. Come se non bastasse i rappresentanti più rilevanti sono sotto strettissimo controllo e non di rado sono vittime di azioni intimidatorie.

La libertà fa paura all’Isis, ma anche Erdogan non scherza: l’ordine è stato perentorio, funerali subito e poco spazio ai ragazzi uccisi che rischierebbero di divenire esempio per gli altri. Ancora più assurda la notizia odierna: bloccare sui social le foto delle vittime. L’obiettivo è chiaro bloccare e smorzare la reazione emotiva alla strage, che è stata fortissima. A livello prettamente elettorale si deve proprio all’area che fa riferimento a questi movimenti il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta per il partito di Governo. Più di qualcuno sostiene che Ankara in realtà stia coprendo anche lo Stato Islamico.

Si possono continuare ad usare parole,  a ricercare immagini o a cercare aforismi e discorsi, ma credo che sia giusto dare spazio ai visi, ai sorrisi e alle parole di quei ragazzi morti semplicemente perché volevano togliere macerie, portare acqua, lavorare sulla cultura di un popolo. Uccisi barbaramente perché stavano affermando ancora una volta  che è nella forza delle idee e nel coraggio delle azioni l’arma più forte per combattere gli estremismi e i tiranni. Morire a 20 anni per affermare gli ideali di solidarietà, democrazia e libertà, morire nel silenzio più assoluto dei grandi mass-media internazionali per gridare al mondo che non ci può rassegnare alle discriminazioni etnico-religiose e che la giustizia sociale non guarda ai confini e alle barriere. Grazie e che la terra vi sia lieve, ragazzi di Utoya e Suruc.

Alper 19 anni: Sono un anarchico di 19 anni, rifiuto la violenza e lo Stato. Ascolto la mia coscienza e dico no al sistema militare. Non morirò né ucciderò nel nome di nessuno». È morto due mattine fa insieme a 31 ragazzi come lui nella città di Suruç, dilaniato dall’uomo-bomba che voleva vendicarsi dell’impegno della meglio gioventù curda a favore dei “connazionali” in fuga dal confine siriano e di quelli assediati dall’Isis a Kobane.

Utoya e Suruc: i visi dei ragazzi di Suruc

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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