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Ode a Lione.

C’è una vecchia panda verde acqua che, ogni pomeriggio al calar del sole, scende con incedere incerto giù per la strada che collega succorte, cuore storico di San Giovanni Incarico, a piazza Umberto primo. Stanca si parcheggia di fronte al bar Carlini, meglio noto come “bar di Gianni”. Nel suo abitacolo s’intravede un consunto berretto da baseball di tela nera che incorona un volto pensieroso e rabbuiato. Poi una t-shirt, anch’essa nera, con  la scritta Brain Juice. Sul parabrezza, ancestrale e apotropaico nella sua dimensione nazional-popolare, si staglia un santino raffigurante la Madonna Ss. Della Guardia. Ecco che dopo qualche attimo di esitazione scende con fare deciso dalla panda verde l’uomo che ha giocato un ruolo essenziale nella vita di molti giovani sangiovannesi, compresa quella del sottoscritto; no, non sto parlando di un professore, di un prete o di un allenatore-santone alla Mazzone. Tantomeno di uno spacciatore. Sto parlando di Leonardo, per gli aficionados “Lione”.

Da tempo volevo rendere omaggio a una figura umana così complessa e affascinante, tragica e goliardica, cinica e sensibilissima. Un personaggio degno del più ispirato Abel Ferrara, autore di un cinema di strada che irradia di luce e poesia decadente le miserie dell’animo umano.

Lione era il mio (non è morto, ha solo cambiato lavoro), il nostro barista, e tuttora rimane tale. Nessuno potrà mai prendere il suo posto. Fino a cinque anni fa era possibile entrare nel bar di cui era allora proprietario e vederlo seduto dietro il bancone con lo sguardo affranto a bofonchiare bestemmie irripetibili per una mancata tris ai cavalli. E allora cercavi di tirarlo su, magari chiedendogli un gin lemon, sua grande specialità. “Un gin lemon come lo fai tu Liò”! Lo vedevi accennare un sorriso, prendere la bottiglia di gin e versarla per un tempo indefinito nel bicchiere, per poi macchiare il tutto con una lacrima di lemon soda. Il pezzo forte però dell’intera preparazione era il tocco finale: la “shakerata” con il dito, che poi Lione portava alla bocca per verificare di persona la buona riuscita del drink. Come con la torta quando si è piccoli.

Non vorrei tracciare il profilo di un qualsiasi barmario di un qualsiasi paesino di una qualsiasi provincia italiana. Il nostro rapporto con Lione andava oltre la semplice confidenza al bancone o il solito scambio di battute, opinioni, consigli e pettegolezzi che in genere caratterizza l’amicizia barista-cliente del piccolo centro abitato tipicamente italico. Non si esauriva con la chiusura della serranda. C’era una complicità quasi adolescenziale con lui, e un forte affetto reciproco. Conoscendo Lione mi sono reso conto dell’importanza sociale del barista e di quanto possa essere determinante per la frequentazione di un bar. Insomma, si può anche andare nel bar o locale più bello e particolare del mondo, ma se il gestore è uno stronzo di sicuro non ci si torna volentieri.

Fu un trauma sapere che Lione aveva venduto il bar. Avremmo voluto comprargliene un altro, purchè l’avessimo visto di nuovo dietro un bancone. Sembrava esserci nato, lì dietro. Forse era stanco degli altri clienti sangiovannesi. Forse era troppo generoso e disponibile, troppo umano e troppo poco incline al giudizio morale e al petegolezzo malevolo da poter resistere in ambienti del genere. E poi era, ed è tuttora, un grande amante di musica, soprattutto della Dave Matthews Band. Lione, per dirlo con le parole di Hunter S. Thompson, è “un prototipo di Dio; troppo strano per vivere, troppo raro per morire”. Grazie Liò!

 

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Dario Corsetti

3 Commenti

  1. loscemodelvillaggio
    loscemodelvillaggio

    Bei tempi…Ricordo ancora quando il suo predecessore ‘pagliericcio’ lasciò a Leo il testimone.Fu una vera svolta,da lì in avanti in quel bar ci si poté sentire per la prima volta come a casa.
    E soprattutto non ci sentimmo più urlare contro la frase ‘iatv a fà na camminat agliu sol!’ -anche se erano le 23 passate.

  2. White Riot

    Eh..si il dito di Lione…el dito de Dios..la mano de Dios era quella di Maradona…che gestì il bar successivamente.
    Quanti ricordi! Grande appassionato anche degli Smiths..
    il Live at Earls Court di Morrissey lo ha tenuto nel lettore forse per due mesi di seguito senza toglierlo..ok nulla in confronto alla “Fisarmonica impazzita” in versione cassetta che il nonno di un nosto amico ha tenuto in macchina continuativamente per circa 16 anni!!!

  3. Bellissimi tempi!!! Ancora oggi ,quando da buoni amici ci ritroviamo a bere un “drinketendranghete” (come diceva lui)…mi faccio fare la Shakerata!!!

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