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La Repubblica del Selfie

La Repubblica del SelfieIl vuoto e il moto, la generazione dei padri e quella dei figli, le speranze tradite della meglio Gioventù, De Gasperi e Togliatti, Fanfani, Moro, Berlinguer e Craxi, l’astuzia di Berlusconi nel essere bravo a cavalcare prima il ’68 e poi tangentopoli fino ad arrivare a Matteo Renzi. C’è tutto questo nel nuovo libro del giornalista Marco Damilano, La Repubblica del Selfie. In 285 pagine vengono raccontati aneddoti, incontri, accordi e tradimenti, in sintesi si rilegge la storia politica del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi. La tesi dell’autore è molto semplice, se la prima repubblica è stata quella della Rappresentanza e la seconda è stata fondata sulla rappresentazione, quella attuale non può che essere quella dell’auto-rappresentazione di se stessa. Una Repubblica del Selfie o se preferite una Selfie-Repubblica.

La prima Italia a essere raccontata è quella che esce dal dopoguerra, quella di De Gasperi, Nenni e Togliatti.  Tutti dovevano essere rappresentati, nessuno poteva sentirsi escluso dal grande gioco democratico. C’è l’immenso corpo della balena bianca che rappresenta il potere politico (poltrone, ministeri e governo) a cui non poteva esserci alternativa di governo. C’è ed è molto forte il mondo delle “passioni rosse” del Fronte Popolare, della Cgil guidata da Di Vittorio e struttura capillare del PCI del “Migliore”, Palmiro Togliatti. Loro che al governo non entreranno mai, hanno in gestione il mondo della cultura: scuola, università cinema e teatro e la rappresentanza di operai e contadini. Per i comunisti era l’età della grande speranza nel sol dell’Avvenire. Damilano non dimentica però di sottolineare la presenza e l’importanza del Quarto Potere, quello di Confindustria e di Mediobanca, a loro spetta l’economia e la finanza. Così si arriva all’età dell’oro dei padri e ai giorni felici: il boom economico, la costruzione delle autostrade, la crescita costante dei primi anni ‘60.  “Quindici anni fa prevedevamo tutto, tranne una cosa: che il mondo sarebbe entrato in una fase di belle époque. Adesso ci siamo dentro in pieno… Così lo sintetizza, Calvino sul “Tempi Moderni” nel 1961. In questo scenario entra in gioco anche Mamma Rai con i suoi programmi e i suoi quiz in bianco-nero. Il primo a capire l’importanza della tv è il primo “rottamatore” che sfrutta il vuoto del post De Gasperi nello scudo crociato. E l’aretino, Amintore Fanfani.  In realtà è anche il primo a non disdegnare la “personalizzazione della politica, il primo che introduce la parola “io”.

I padri invecchiano e arrivano i figli: siamo nel ’68 della “Meglio Gioventù”. Qui il giudizio del giornalista dell’Espresso è molto più che critico: La meglio gioventù è una mistificazione. Una menzogna. Come tutto o quasi quello che è avvenuto negli ultimi quarant’anni.  E’ l’inizio del vuoto, arriva la tv a colori ma l’atmosfera diventa grigia, l’aria di piombo ed è proprio dalle debolezze di questa generazione che scaturisce secondo Damilano la rottamazione dei nostri giorni. Viene sottolineato come alcuni giovani di quegli anni siano passati dal culto di Togliatti passando per Craxi, Berlusconi e Renzi. Facendo un nome e cognome: Giuliano Ferrara che sta con Cuba e l’Urss e si dispera perché un americano è arrivato sulla Luna. La cronaca dei nostri giorni ci racconta del nuovo innamoramento verso il Royal Baby di Rignano sull’Arno dopo anni di Berlusconismo duro e puro.

Il corso della storia ci porta dagli anni ’70, dove tutto è politica, agli anni 80. Salgono sulla scena Berlusconi e Craxi, ma soprattutto il Moto e il Vuoto, veri protagonisti fino ai nostri giorni. Gli anni dello svuotamento, lasciate le piazze e sedetevi comodi in salotto: “Torna a casa in tutta fretta c’è il biscione che ti aspetta” è lo slogan della neonata Canale 5. Nasce Milano 2, la città dei numeri 1. Berlusconi capisce, intuisce, sfrutta la situazione, cavalca l’onda. Capiterà anche dopo tangentopoli.  Il progetto Milano 2 è datato 1968 e non è per niente in contrasto di quegli anni.  La sponda politica è il Psi di Craxi: la camicia bianca e la iper-personalizzazione della politica. Ci sono il leader e il suo popolo, via ogni intermediazione. L’edonismo e la Milano da Bere. Le parole d’ordine: essere più spregiudicati, più dinamici, più moderni. Essere Più. L’uomo solitario che sfida tutti e anche su questo punto sembra di rileggere le dichiarazioni del 1994 e del 2014. Dal 1987 al 1990 sembra esserci un nuovo boom. I miracle makers secondo gli americani sono Agnelli, Berlusconi, Craxi, De Benedetti. La sveglia però suona subito. Nel 1992 si è in piena crisi morale ed economica. Torna il vuoto, la disgregazione, termina male la prima Repubblica. Cavalca l’onda sempre lui: Silvio Berlusconi. Si schiera apertamente con il pool di Mani Pulite contro i vecchi partiti. Pondera ogni mossa con calma e pazienza e nel 1994 scende in campo. Ecco l’età della rappresentazione: della rivoluzione liberale sempre annunciata, il cielo è sempre azzurro, del mondo in cui tutti potevano diventare ricchi e famosi come lui. “Il Vuoto” è mascherato dal “Moto” nella Repubblica della Rappresentazione. Tangentopoli è restata una rivoluzione a metà semplicemente perché non è stata una rivoluzione di popolo, i figli sono rimasti a guardare. Si resta nell’ambito giudiziario e nessun cambiamento arriva, purtroppo, nella società e nella cultura del popolo italiano. Un enorme azione di riciclaggio politico: tutti gli uomini che contavano davvero nel pre-tangentopoli, si insinuano nelle pieghe del sistema. Entrano in gioco gli ex missini di Fini e la camicie verdi di Bossi, i più anti-sistema nelle contestazioni di tangentopoli. Finisce tutto in un paradosso: l’uomo dell’immenso potere economico, mandato a casa dal mondo della finanza, da Fini (il suo primo alleato nel 94), e da un’inchiesta sulla prostituzione.  Si sta sulle macerie come in una moderna Caporetto.

selfie renziIl resto è storia odierna. Il più grande merito di Damilano è quello di inserire Matteo Renzi in un discorso politico lungo quarant’anni. E’ il vuoto politico e di rappresentanza che lo genera. Marx sosteneva che “i filosofi non spuntano dal terreno come i funghi. Essi sono il prodotto del loro tempo”, ecco lo stesso vale a mio avviso per i politici e per l’attuale segretario del Pd.  Nella sua politica c’è tutto quello che abbiamo scritto in precedenza, di tutto un po’. C’è il corpaccione storico delle Feste dell’Unità, c’è la radice democristiana mai rinnegata, ci sono i poteri forti fiorentini ( babbo Tiziano, e il Babbo della Boschi) e quelli industriali ( Marchionne su tutti),  c’è la voglia matta di correre, di apparire il più innovatore e quell’orgoglio anti-comunismo figlio del berlusconismo. Si va alle cucine della Festa dell’Unità di Modena, ma anche da Maria De Filippi con il giubbotto nero alla Fonzie. La copertina di Oggi e la comunicazione su Twitter. C’è, inoltre, quella guerra generazionale verso la Meglio Gioventù: “ Dobbiamo rottamare la generazione del Sessantotto che dipinge se stessa come l’unica che ha gli ideali, l’unica Meglio Gioventù che ci sia mai stata”. L’ascesa per prendersi il Pd e il Paese è breve: praticamente senza opposizione dopo il risultato elettorale del 2013. Il rischio e la critica maggiore che piovono sull’ex boy-scout divenuto Presidente, non sono per nulla leggere: c’è la sindrome di Napoleone. Il suo potere è quello dell’io più esasperato che gioca sempre una corsa contro il tempo e che sa solo rialzare la posta in gioco. L’io di nuovo contro tutti: sindacati, minoranze, talk show, professori universitari. Renzi contro la palude o contro tutti i gufi e i frenatori.  Cosa ne viene fuori? Il Partito della Nazione in cui tutti si possono ritrovare, un potere trasformista che non ammette alternative, cinico, personalizzato, capace e orgoglioso di rivolgersi a tutti e tutti devono ritenere Matteo il loro leader. Si arriva, così, all’auto-rappresentazione, al selfie simbolo incontrastato della Terza Repubblica che sta nascendo. L’auto rappresentazione simbolo ma al tempo stesso limite enorme e pericolo maggiore per Renzi, per il suo cerchio magico, ma soprattutto per l’Italia e gli Italiani sempre troppo innamorati degli uomini soli al comando che si ergono a salvatori della patria.

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Fonti: La Repubblica Del Selfie- Marco Damilano

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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