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Infinito, che passione. Cinque principi eretici.

Nel centenario della relatività generale, uno scritto del grande fisico teorico Tullio Regge (1931 – 2014), che alla teoria di Einstein ha dato contributi pionieristici. Tra questi, lavori sui buchi neri e la prima quantizzazione dello spazio-tempo.

Galassie viste attraverso una lente gravitazionale (Hubble Space Telescope)

Galassie viste attraverso una lente gravitazionale (Hubble Space Telescope)

Tra gioco e provocazione fantascientifica
Pubblichiamo, riprendendo dalla rivista “Asimmetrie” dell’INFN, nella traduzione dall’inglese di Vincenzo Barone (università del Piemonte Orientale), il testo di un breve divertissement, dal titolo originale A science fiction scenario, che Tullio Regge presentò nel 1984 a un convegno in onore del fisico torinese Gian Carlo Wick, che fu tra i “ragazzi di via Panisperna” allievi di Enrico Fermi e poi uno dei padri della teoria quantistica dei campi.
L’intervento venne poi pubblicato nel 1986 nel volume Old and New Problems in Fundamental Physics, Scuola Normale Superiore, Pisa. Il testo, leggermente abbreviato, è riprodotto per gentile concessione delle Edizioni della Normale, dell’INFN e della famiglia Regge.
Articolo presente su “le Stelle” mensile di cultura astronomica fondato da Margherita Hack e Corrado Lamberti.

In un famoso racconto lo scrittore argentino Jorge Luis Borges descrive una biblioteca fantastica, che si estende su uno spazio vastissimo e contiene un incalcolabile numero di volumi, nonché una popolazione residente di lettori. Egli chiama questa libreria “l’Universo”.
Ogni libro ha un numero fisso di pagine, ogni pagina un numero fisso di righe, ogni riga una “parola” costruita con un alfabeto di 26 lettere (presumo l’alfabeto spagnolo).
Questi numeri non sono particolarmente rilevanti, ma Borges afferma che la biblioteca contiene tutti i possibili libri scritti in questo modo.
Una volta ho calcolato il volume di una biblioteca siffatta, ottenendo qualcosa come 103.000 chilometri cubi. Penso che Borges meriti un apprezzamento. Egli usa una metafora altamente poetica per descrivere la sua visione dell’universo. La sua biblioteca contiene tutti i libri, inclusi quelli che riportano la spiegazione corretta per l’esistenza della biblioteca stessa, e quelli che riportano le spiegazioni sbagliate.
Io sostengo una tesi simile riguardo al nostro universo: penso che esso contenga tutte le possibili configurazioni dei campi (compatibili con le leggi fisiche). Per fare ciò, l’universo deve avere un’estensione infinitam e siamo quindi portati a preferire i modelli aperti. Questo principio può essere enunciato nella seguente forma:

1. Tutto ciò che è possibile esiste da qualche parte e in qualche tempo durante la vita dell’universo.

Forme più deboli di questo principio sono state usate in meccanica quantistica per mostrare che processi non proibiti in maniera esplicita dalle regole di selezione si verificano effettivamente.
Io richiedo qualcosa di più forte. Se le leggi fisiche non impediscono l’esistenza di un oggetto improbabile, come potrebbe essere una statua di Sam Treiman (fisico statunitense, ndr) fatta di xenon solidificato, allora tale oggetto deve esistere in qualche luogo. La sua distanza da noi può essere enorme, ben al di là dell’orizzonte cosmologico, può essere stata costruita nel passato o magari apparirà in futuro; i dettagli sono irrilevanti. In effetti, l’universo aperto ha avuto inizio con temperature e densità estremamente elevate ed evolverà verso l’estremo opposto del freddo e del vuoto.
Jacques Monod (biologo francese, autore de Il caso e la necessità, ndr) ha affermato che non bisogna mescolare le conoscenze con i valori; il nostro collega Freeman Dyson si diverte a fare esattamente l’opposto, e io sono ben consapevole di imitarlo.
Penso che sia uno spreco concepire delle leggi fisiche, delle equazioni di campo che selezionano particolari configurazioni di materia, senza che ciò comporti l’esistenza reale di tali configurazioni, non solo in un mondo platonico. Vorrei quindi cogliere questa occasione per esprimere un mio pregiudizio. Mi piace l’infinito. Il principio 1 prescrive un universo infinito, ma il principio 2 va un po’ oltre.

2. Le leggi fisiche contengono un gruppo di simmetria a infiniti parametri.

Con un gruppo di questo genere ci aspettiamo una sequenza infinita di rotture di simmetria e un insieme infinito di scale di energia alle quali delle simmetrie parziali sono ripristinate.
La ricerca di una teoria finale non avrà mai termine. Il principio 2 ha un’importante conseguenza. Andando indietro verso il Big Bang, osserviamo sempre più simmetrie. Il numero delle dimensioni dello spazio è legato a queste simmetrie. Suggerisci quindi il principio 3:

3. Il numero delle dimensioni dello spazio-tempo è infinito. La riduzione dimensionale rimuove queste dimensioni, eccezion fatta per un numero finito di esse. A mano a mano che ci avviciniamo al Big Bang, tutte le dimensioni diventano visibili.

Una tale inifinità è tuttavia di scarso interesse se la sua struttura può essere svelata e descritta da pochi postulati. Abbiamo pertanto bisogno di un ulteriore principio, che posso formulare grosso modo come segue:

4. Le teorie unificate di campo sono gödeliane. In altri termini la teoria finale non è computabile e non può essere costruita mediante procedura decisionale finita. Non c’è modo di sapere che cosa succederà domani da quel che succede oggi.

Ciò garantisce che i fisici non saranno mai disoccupati. E vengo ora a una questione correlata. Non sono il solo a pensare che la riduzione dimensionale stia diventando un concetto molto importante in tutti i tentativi attuali di costruire delle teorie unificate. Questo significa che il numero di dimensioni dello spazio è essenzialmente un concetto antropomorfo, legato alla limitata scala di energia attuale. In tutte le teorie che abbiamo esaminato finora le dimensioni supplementari sono di tipo spaziale. Più dimensioni temporali porterebbero infatti a violazioni della casualità e/o alla comparsa di tachioni (ovvero particelle più veloci della luce, ndr). Personalmente, trovo che questa mancanza di simmetria tra tempo e spazio sia fastidiosa. Ma, dopo tutto, possiamo sempre effettuare una rotazione di Wick (una trasformazione che, assegnando al tempo valori immaginari, converte lo spazio-tempo di Minkowski in uno spazio euclideo, ndr) ed entrare in un meraviglioso mondo fittizio in cui c’è solo spazio, e io non provo alcun fastidio estetico. Concludo quindi con il mio ultimo principio:

5. Il mondo reale ha solo dimensioni spaziali. Il tempo non è altro che un’illusione antropomorfa. Le teorie dovrebbero essere formulate direttamente in uno spazio (localmente) euclideo, che rappresente l’entità fondamentale.

Mi rendo conto che tutti questi principi non sono enunciati in un linguaggio matematico appropriato, e che mescolano conoscenza e valori. Spero almeno che risultino divertenti.

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