Due cose sono semplici e immediate nella storia di Mafia Capitale: la prima è il rapporto subordinato del sistema politico nei confronti della malavita, la seconda è l’abilità metaforica indiscussa nel descrivere in maniera chiara ed efficace il sistema. Se nella prima parte dell’inchiesta è stato “teorizzato” il mondo di mezzo, nella più recente abbiamo conosciuto la teoria della mucca da mungere.
Gli “ispiratori” sono sempre loro, l’uomo delle cooperative, Buzzi, e l’uomo dell’estrema destra, Carminati. Il “rosso” e il “nero”, ma Stendhal non c’entra nulla. E’ il 15 ottobre 2014: il manager delle cooperative sta parlando con Franco Figurelli, braccio destro di comunale Mirko Coratti, bastano poche battute per rendere chiara la filosofia.
Buzzi: “Ahò ma, scusa ma lo sai… la sai la metafora?
Figurelli: “Eh…”.
Buzzi: “La mucca deve mangiare”.
Figurelli: “Ahò, questa metafora io glielo dico sempre al mio amico, mi dice: ‘non mi rompere, perché se questa è la metafora lui ha già, già fatto, quindi non mi rompere’…”.
Buzzi: “Ma… fai fa… fagli un elenco…
Figurelli: “Salvatò…”
Buzzi: “Fagli un elenco della mangiatoia, digli, oh” (ridono)
Figurelli: “Salvatò, te voglio be… già me rompe… dice: ‘E’ possibile che Salvatore a noi ce risponde così?’, ho detto: ‘Ahò, che te devo di’, gli ho detto, ‘questa è la metafora che me dà il cammello e della cosa… quindi che te devo fà?’” (…)
Buzzi: “Sì, ma io investo su di te, lo sai che investo su di te”.
Figurelli “Eh, meno male” (…)
Buzzi: “Ahò, però diglielo: ‘guarda che ha detto Buzzi che qui la mucca l’avemo munta tanto…
In soldoni, visto che ne giravano tanti, politici e dirigenti dovevano far lavorare, potremmo dire “foraggiare” le sue cooperative grazie agli appalti, per poi ricevere come premio tangenti, perché “Se la mucca non mangia non può essere munta” o in alternativa “La mucca tu la devi mungere, però gli devi dà da mangià” oppure, perché si conosce l’avidità della classe politica “La mucca può essere munta solo se mangia”.
Un romanziere non avrebbe saputo fare meglio: poche righe per spiegare un sistema così complesso, presente a Roma, ma non solo. Diciamo che la “tattica” è frequente in affari più grandi e più piccoli, nella Capitale e nella Province, la brutale realtà è la stessa che vediamo spesso davanti ai nostri occhi. E’ il do ut des lo schema che regna ed avvelena la democrazia. Dammi il “voto” e sistemiamo quella casa o troviamo il posto di lavoro, dammi l’appalto per la cooperativa che ti faccio avere voti e soldi, non possono che essere due facce della stessa medaglia.
Tornando a Roma, rapidamente mi vengono in mente alcune logiche considerazioni.
- E’ mai possibile che la politica non riesca mai ad anticipare la magistratura. Ovvero sono fermamente convinto che la vigilanza della politica debba essere più alta di quella della magistratura. Esempio pratico: una persona può essere presentabile a livello giuridico ma impresentabile eticamente, moralmente e quindi politicamente. Non si tratta di essere giustizialisti, ma di riconnettere la vita pubblica a questi concetti. Per dire questo concetto, in tempi e modi diversi, l’hanno sostenuto due persone completamente diverse tra loro ma grandi allo stesso modo, Paolo Borsellino e Stefano Rodotà. Ora a Roma, la responsabilità maggiore del Partito Democratico è proprio quella di non aver voluto vedere la filiera di voti, di tessere e di potere. Bastava guardare i congressi provinciali e locali per rendersi conto di questa immensa carovana di capibastone. Si sarebbe arrivati a queste stesse conclusioni con mesi e mesi di anticipo. Magari, però, si sarebbe ridata dignità alla “res pubblica”.
- Sulle accuse di Alemanno e camerati non spreco troppe parole. Dalle carte emerge chiaramente che il periodo più florido per la mafia capitolina è proprio quello della sua giunta. Almeno la decenza di stare e vergognarsi in silenzio.
- Riguardo a Marino il discorso è molto più complesso. L’ex medico era un alieno al sistema del Pd romano. Era un estraneo. Ha battuto i candidati renziani alle primarie (per dire, uno era l’attuale Ministro degli Esteri) e non ha mai avuto l’appoggio dei vari ras che hanno provato a logorarlo sfruttando le scarsa esperienza amministrativa del primo cittadino. Qual è la sua grave responsabilità? Quella di non aver avuto il coraggio necessario per affrontare la questione, pur essendo totalmente estraneo alla vicenda. Certo a parole è semplice, ma nel bel mezzo c’era da governare una città complessa ed immensa. La sensazione (quasi certezza) è che verrà scaricato definitivamente dal Premier che cercherà di inserire un suo uomo al Campidoglio, provando ad impostare, come al solito, tutto in un referendum su di lui. Non per trasparenza e moralità, dunque, ma solamente per l’ennesimo regolamento dei conti interno e gioco di potere. E’ Roma ma se si guarda bene, l’immagine riflessa è proprio quella dell’Italia intera.