Le cifre ufficiali dimostrano che il femminicidio, in Italia, è un fenomeno piuttosto stabile da anni e soprattutto ci dicono che non è un emergenza specifica del nostro tempo. La violenza dell’uomo sulla donna c’è sempre stata ed è molto probabile che in passato fosse ancora più diffusa, basti pensare che: fino al 1963 il marito aveva il diritto, per legge, di picchiare la moglie che avesse commesso a suo giudizio un errore (ius corrigendi); fino al 1981 era in vigore il “delitto d’onore” che limitava a pochi anni la pena in caso di uccisione della moglie che con il suo comportamento avesse offeso l’onore del marito e della sua famiglia; fino al 1996 la violenza sessuale era considerata un reato non contro la persona ma contro la morale, con pene minime e irrisorie.
La differenza sostanziale con il passato è che oggi le donne denunciano con frequenza molto maggiore le violenze subite: un segnale sicuramente positivo rispetto ad un tempo in cui abusi domestici e maltrattamenti erano taciuti e spesso addirittura considerati la “normalità”. L’aumento delle denunce ha contribuito a far scattare l’allarme. I media, sempre più attratti dalle storie tragiche, dal macabro, hanno iniziato ad occuparsi del fenomeno femminicidio morbosamente, spettacolarizzando fatti e personaggi, drammatizzando numeri e cifre.
Va certamente bene parlarne ma bisogna fare attenzione a come se ne parla. L’informazione è necessaria, la disinformazione può rivelarsi pericolosa, può produrre effetti deleteri: dall’incremento della paura di subire violenze nelle donne (soprattutto nelle più giovani), all’incremento dell’odio verso il genere maschile; dall’alterazione della reale incidenza del fenomeno nella società, alla formazione di un’opinione pubblica distorta, all’induzione a una pericolosissima “giustizia fai da te”.
Inoltre, mentre l’informazione è estremamente concentrata nel raccontare il dramma di queste tragiche storie di violenza, pochissimo spazio viene riservato all’analisi delle possibili cause del problema. Pur essendo senz’altro arduo individuare le origini del fenomeno, le spiegazioni comunemente accettate non mi sembrano complete: alcune di esse colgono solo alcuni aspetti dei complessi fatti da spiegare, altre appaiono inadeguate o fuorvianti (è una semplice opinione personale che tenterò di motivare). Eccone alcune:
Come capita spesso, quando un comportamento umano non si riesce a spiegare secondo i canoni comuni, lo si etichetta come “folle”. Il classico raptus di follia viene utilizzato come spiegazione di ciò che è (solo superficialmente) non spiegabile.
In realtà non esiste alcun raptus di follia se con questo si vuole intendere un soggetto sano che improvvisamente impazzisce per qualche minuto e poi torna allo stato di assoluta normalità. Ci sono sempre segnali che anticipano l’evento tragico. Quante volte una donna prima di essere uccisa subisce maltrattamenti, molestie e minacce?
Le definizione comunemente accettata di femicidio parla di omicidi compiuti dagli uomini sulle donne per odio nei confronti del genere femminile.
E’ una spiegazione che non mi convince affatto in quanto la scelta della donna, in questi casi, non è casuale. L’odio non è rivolto nei confronti delle donne in quanto tali ma verso quella specifica donna per motivazioni particolari e non di genere.
– CULTURA DOMINANTE MASCHILISTA E PATRIARCALE.
Secondo tale interpretazione la causa del femminicidio è da ricercare nella società, tutt’ora prevalentemente maschilista, che legittima i modelli dell’uomo forte e prepotente che possiede e controlla le sue donne.
Può essere una spiegazione parziale, per qualche caso, anche se da questo punto di vista, la società moderna ha fatto notevoli ed evidenti passi avanti. Bisogna però fare una riflessione su un ulteriore aspetto: la violenza sulle donne è un fenomeno mondiale, presente in ogni tipo di società. Anche quelle meno maschiliste e meno patriarcali conoscono il femminicidio. Ad esempio i paesi nordici e anglosassoni hanno un tasso di omicidi di donne, mediamente superiore a quello dell’Italia (Finlandia 1,3 – Svezia 0,6 – Norvegia 0,5 – Belgio 1,5 – Olanda 0,5 – Regno Unito 0,8 – Canada 0,9 – Usa 1,9).
– AUTONOMIA E INDIPENDENZA FEMMINILE.
Più le donne sono autonome e indipendenti, maggiore sarebbe il rischio di restare vittima di violenze e omicidi in quanto meno disposte ad accettare la sottomissione o la disparità di trattamenti all’interno della relazione.
Credo che questa, in alcune situazioni, possa essere una concausa ma non basta da sola a spiegare il fenomeno. C’è qualcos’altro che fa da sfondo e che orienta le “relazioni pericolose”.
– GELOSIA E AMORE ECCESSIVO.
“Ha ucciso perché era geloso, perché l’amava troppo”. E’ un commento che si sente spesso quando la tragedia riguarda una coppia di sposi, fidanzati, amanti. “L’amava così tanto che è arrivato ad ucciderla per non separarsi da lei”. Ma è amore questo?
Spiegazioni del genere contribuiscono a creare ulteriore confusione tra i concetti di amore e fusione, gelosia e possesso. In queste storie non c’è ne amore, ne gelosia: ci sono espressioni come “io e te siamo un tutt’uno”, “io sono tu e tu se io”, “senza di te non vivo”,”oltre te non c’è nulla nella mia vita”, che non sono frasi dette in momenti particolari, ma corrispondono a modalità relazionali su cui si basa il rapporto; ci sono profili unici sui social network; stesse passioni, stessi interessi, nulla al di fuori della coppia; c’è fusione e possesso.
L’amore e la gelosia si fondano sulla diversità, sul riconoscimento dell’altro come diverso e che attrae in quanto centro autonomo di sussistenza.
La fusione e il possesso si fondano sulla perversità, sulla considerazione dell’altro come parte integrante della propria persona su cui va quindi esercitato lo stesso controllo e dominio che si esercitano ad esempio sulla propria mano.
Perversità, a mio avviso, è una parola fondamentale per tentare di capire quelle relazioni che sfociano nelle forme più estreme e crudeli di violenza: è il livello della ricerca del potere sull’altro.
C’è qualcosa di familiare in queste storie, qualcosa di simile a molti episodi che conosciamo direttamente o indirettamente: pressioni, costrizioni, controlli di telefoni cellulari e mail, insinuazioni, forme più o meno velate di ricatti. Eppure continuiamo a considerare la violenza (in tutte le sue svariate forme, non solo quella fisica) come qualcosa che non ci ha mai riguardato, come qualcosa che viene da lontano, dai cattivi, dai malvagi che sono sempre gli altri. Un noto psichiatra americano ritiene che quegli altri, quelli che si sono macchiati di un crimine, sono solo stati capaci di mettere in pratica quello che molti di noi hanno tante volte pensato di fare. Ha forse tanto torto?
Torniamo un attimo ai dati. Le statistiche ci dicono che le donne vengono uccise con maggiore frequenza in casa, da persone che conoscono; che i tassi di violenza domestica sono stabili nel tempo e nei luoghi, a differenza della violenza tra estranei che subisce l’influenza di elementi esterni. Solo l’ambiente e la società non bastano per spiegare tale fenomeno. C’è dunque qualcos’altro all’origine di certi comportamenti. Ma cosa?
(continua…)
La terza parte: http://www.lindifferenziato.com/2013/10/13/quel-che-non-si-dice-sul-femminicidio-parte-3-alle-origini-del-dramma/
Dati 2013 (rapporto EURES)
Totale omicidi: 502
Uomini: 323 (64,34 %)
Donne: 179 ( 35,66 %)
LE VITTIME FEMMINILI
Età media: 53,4 anni.
Matricidi: 23 casi.
Regioni con più casi:
Lazio e Campania 20 omicidi ciascuno,
Lombardia 19
Puglia 15
Contesto familiare-affettivo: 66,4% dei casi.
Modalità più frequente: strangolamento e percosse.
http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/pari_opportunita/2014_11_20_rapporto_Eures_femminicidio.html_536135220.html
UN CONFRONTO CON IL PERIODO 2000-2012
Media omicidi totali: 629,6 (in costante diminuzione). 2013: 502
Media uomini: 459,6 (in costante diminuzione). 2013: 323
Media donne: 170,0 (stabile). 2013: 179