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9 maggio 1978

Il 9 maggio 1978 è uno di quei giorni con cui dobbiamo fare i conti. Uno di quei giorni in cui la storia criminale del Paese si fa storia nazionale. Uno di quei momenti, uno dei tanti tornanti in cui l’Italia viene presa a sberle dei mostri che si porta dentro. In cui la faccia oscura dello Stato tramortisce, divora e distrugge la faccia tranquilla, rassicurante e istituzionale. “L’alba dei funerali dello Stato” così cantavano Cisco e i Modena City Ramblers.

Due uomini diversi tra loro, L’ Yin e lo Yang, si potrebbe dire, Aldo e Peppino. Due volti di quell’Italia che sognava di divenire grande, ma era ancora fragile troppo fragile, per difendere due come loro. Uno era il Presidente della DC, l’uomo del compromesso storico, era il centro del centro della politica italiana. Eppure aveva capito che per dare stabilità e futuro al Paese, serviva l’unione delle due grandi forze sociali: DC e PCI.  Mi piace ancora oggi pensare a quale Italia sarebbe nata dall’intuizione di Moro e Berlinguer. Sono certo, però, che dopo di loro tanto, troppo vuoto c’è stato. Una serie di fattori che vanno dall’estremismo violento delle Br, alla paura Americana del Pci al potere, dal timore dei comunisti russi per quel PCI che diveniva forza di governo, ai suoi “amici” di Partito che mal sopportavano quell’uomo schivo e dalle poche parole. Troppi non volevano quell’accordo e la Storia sappiamo come è finita, un uomo trivellato in un Renault 5.

9 maggio 1978: foto Aldo Moro, Peppino Impastato

L’altro è un giovane militante di Democrazia Proletaria. Veniva da Cinisi e amava la libertà. Sopratutto questo era Peppino Impastato per me, un amante della libertà. La sua frase più famosa: LA MAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA, è un urlo, un grido per svegliare le coscienze. Riprendiamoci le nostre vite, quelli che chiamate Boss, quelli che siedono sul Maficipio Di Mafipoli infondo sono solamente dei buffoni, che si danno arie. La sue armi erano l’ironia e  la satira. Il suo obiettivo: screditare i falsi miti. Ci vuole coraggio a combattere la mafia, ce ne vuole ancora di più se la battaglia inizia nella mura domestiche. Ognuno compia il suo percorso, ognuno percorra i suoi 100 passi verso la libertà.

La sintesi perfetta di queste parole e dei concetti espressi, si trova in una lettera scritta da Agnese Moro a Giovanni Impastato, datata 22 maggio 2012.

Caro Giovanni,

vorrei tanto essere con te e con tutti voi in questa giornata di ricordo e di impegno. Ma sono a Roma per le celebrazioni della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. Speriamo che quei tempi non tornino mai.

Ti sono e vi sono vicina con il pensiero, con la stima e con l’affetto. Mi piacerebbe aver conosciuto tua mamma e Peppino. Chissà se conoscendoli ne avrei capito subito la grandezza. A volte ci vuole tempo per capire le cose importanti. Come ti dicevo a Bari mi dispiace che le nostre lacrime, dal ’78, abbiano coperto le vostre. Del resto mi pare che né voi né noi abbiamo mai avuto la possibilità di piangere davvero i nostri cari uccisi. Abbiamo dovuto da subito tutelarli, proteggerne la memoria, far capire chi erano e perché sono morti. Chiedere per loro giustizia e ottenerla, con tanta fatica, e solo in parte.

Tuo fratello e mio padre erano molto diversi. Ma qualcosa li unisce. Qualcosa che viene prima e va al di là del fatto di essere stati uccisi, e per di più lo stesso giorno. Credo che entrambi amassero la giustizia e la liberazione, da ottenere con la mite e coraggiosa strada della democrazia, che è tale solo con l’assunzione di responsabilità da parte di ognuno. Come tanti, prima e dopo di loro, hanno pagato questi amori a caro prezzo. Sapevano che poteva succedere, ma non si sono fermati. Un po’ vorrei che l’avessero fatto, e che non ci avessero lasciati soli. Ma era la loro strada. A noi è rimasto l’incarico gravoso di essere testimoni del loro impegno. Per fortuna oggi possiamo condividere questo onere con un numero sempre più ampio di persone, tra cui tanti giovani, che hanno trovato in Peppino e Aldo degli amici che possono accompagnarli e aiutarli a scegliere la strada giusta.

Caro Giovanni, mi piacerebbe tanto che un giorno potessimo ricordare i nostri cari non nel giorno della loro morte, ma nel giorno nel quale festeggiamo la nascita della nostra Repubblica, il 2 di giugno. Allora avrebbero davvero il loro posto, che non è quello di vittime, ma quello di costruttori coraggiosi di un Paese in cui ci sia posto per tutti, con eguale dignità e rispetto.

Ti abbraccio. Saluta tua moglie che deve essere una donna straordinaria, i tuoi figli e tutti coloro che, con voi, sono lì a ricordare Peppino Impastato. A presto.

Agnese Moro

 

 

 

 

 

 

 

 

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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