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Adolf Eichmann: la pericolosità della banalità

Quanto banale, e forse per questo ancor più pericoloso, può essere il “male”?

Adolf EichmannVenerdì 15 dicembre 1961, l’ufficiale delle SS Adolf Eichmann venne condannato a morte dal Tribunale di Gerusalemme, con l’accusa di essere uno dei principali artefici della Shoah, l’incaricato della cosiddetta “soluzione finale” del problema ebraico.
Nella sua ultima dichiarazione affermò tra le altre cose: “Io non sono il mostro che si è voluto fare di me; io sono vittima di un equivoco; sono profondamente convinto di dover pagare le colpe di altri”.

Nacque nella Renania (Solingen) il 19 marzo 1906. Perse la madre all’età di 10 anni.
Da subito fece intendere di non essere uno scolaro “molto volenteroso”, né molto dotato: il padre lo ritirò sia dalla scuola superiore sia dalla scuola d’avviamento.
Dopo l’abbandono dell’istruzione scolastica, fece il minatore per un breve periodo, successivamente divenne un impiegato comune nell’ufficio vendite.
Nei suoi curriculum amava scrivere molte bugie che raccontava allo scopo di ricevere qualche promozione: “la iattanza è sempre stata uno dei suoi principali difetti”, scrive Hannah Arendt.

Il 1932 fu l’anno della svolta: ad aprile, si iscrisse al partito nazionalsocialista ed entrò nelle SS, su invito di Ernst Kaltenbrunner (un avvocato di Linz).
Ma in che modo Eichmann giunse a tale “scelta”?
Quando Kaltenbrunner gli propose di entrare nelle SS, Eichmann era sul punto di divenire membro di un gruppo completamente diverso, la Loggia massonica Schlaraffa: “un’associazione di medici, attori, funzionari civili, industriali che si riunivano per coltivare una gaia spensieratezza; ogni membro doveva di tanto in tanto tenera una conferenza piena di raffinato umorismo”.
Kaltenbrunner, che trattava Eichmann sistematicamente con aria di sufficienza e come un individuo socialmente inferiore, lo convinse ad abbandonare l’idea di far parte di quella frivola congrega in quanto “un nazista non poteva essere un massone”.

Da notare: Eichmann in quel periodo non conosceva né il significato della parola “massone”, né condivideva l’ideologia nazista, anzi, non aveva alcuna ideologia; era semplicemente un giovane ambizioso stufo del suo modesto lavoro di impiegato.

«Non si iscrisse al partito per convinzione, né acquistò mai una fede ideologica: ogni volta che gli si chiedevano le ragioni della sua adesione, ripeteva sempre gli stessi luoghi comuni sull’iniquità del trattato di Versaglia e sulla disoccupazione. Fu piuttosto – come egli stesso ebbe a dire nel processo – “inghiottito dal partito senza accorgersene e senza avere avuto il tempo di decidere; fu una cosa così rapida e improvvisa!” Non ebbe il tempo, e nemmeno il desiderio, d’informarsi bene; non conosceva il programma del partito, non aveva mai letto ‘Mein Kampf’. Kaltenbrunner gli disse: “Perchè non entri nelle SS?” e lui rispose: “Già, perché no?” Andò così».

Eichmann_AdolfL’iscrizione alle SS rappresentò il passaggio da una vita insignificante e monotona al sentirsi parte di un movimento capace di poter riscrivere la storia (non importa che tipo di storia), un gruppo in cui anche una persona come lui con un passato pieno di frustrazioni, poteva aspirare a “far carriera”. E poco importava se quello che doveva fare non sempre gli piaceva, se intuì che la Germania avrebbe perso la guerra e tutto sarebbe finito in malo modo, se capì presto che non sarebbe mai stato in grado di scalare la gerarchia delle SS, se alle frustrazioni di un tempo continuavano ad aggiungersi ulteriori frustrazioni: tutto questo per Eichmann era decisamente più sopportabile dell’alternativa (il non far parte del progetto). Le SS rappresentarono per Eichmann l’intera sua esistenza, l’identità nel mondo, il senso di appartenere a qualcosa e in esso riconoscersi. Per questo avrebbe fatto di tutto, per questo l’8 maggio 1945 (data ufficiale della sconfitta dei tedeschi) rappresentò il giorno più brutto della sua vita:

“Sentivo che la vita mi sarebbe stata difficile, senza un capo; non avrei più ricevuto direttive da nessuno, non mi sarebbero più stati trasmessi ordini e comandi, non avrei più potuto consultare regolamenti – in breve, mi aspettava una vita che non avevo mai provato”.

La sua mentalità di gregario, di pericoloso burocrate, emerse in pieno durante il processo a Gerusalemme, dove rifiutò tutte le accuse contro di lui (15 capi d’imputazione): “Con la liquidazione degli ebrei io non ho mai avuto a che fare; io non ho mai ucciso né un ebreo né un non ebreo, insomma non ho mai ucciso un essere umano; né ho mai dato l’ordine di uccidere un ebreo o un non ebreo: proprio non l’ho mai fatto. […] E’ andata così… non l’ho mai dovuto fare”, lasciando intendere chiaramente che avrebbe ucciso anche suo padre se qualcuno dei suoi superiori glielo avesse ordinato.

Da un estratto del dibattimento:
“… Si parlò di esecuzioni, di eliminazioni, di sterminio. Ma io dovevo redigere il verbale. Non potevo star li ad ascoltare…”.

Fu impiccato in una prigione di Ramla (Israele) il 31 maggio 1962.

Adolf Eichmann incarna il modello dell’uomo comune, “dannatamente normale”, privo di patologie, un perfetto burocrate agli ordini dei suoi superiori. Tutti gli psichiatri che lo visitarono lo ritennero assolutamente sano di mente. Uno di essi esclamò: “E’ più normale di quello che sono io dopo che l’ho visitato”. Non si poteva ritenere nemmeno che egli odiasse gli ebrei o fosse animato da fanatismo antisemita. Forse è proprio questo l’aspetto che più spaventa: uomini come Eichmann non sono demoni o mostri feroci, sono tecnici che eseguono comandi, si somigliano e ci somigliano.

Fonte: H. Arendt  (1964), “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”, Feltrinelli, Milano.

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Mirco Zurlo
"Quando non si conosce la verità di una cosa, è bene che vi sia un errore comune che fissi la mente degli uomini. La malattia principale dell'uomo è la malattia inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell'errore che in quella curiosità inutile".

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