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I discorsi più belli di Robert Kennedy (parte 2)

I discorsi più belli di Robert Kennedy (parte 2): libertà e responsabilità

<<Come vorrebbe essere ricordato? Cosa vorrebbe che dicesse
la prima riga del suo necrologio?>>

<<Qualcosa a proposito del fatto che ho dato un contributo
o al mio paese o a quelli che erano più bisognosi.
Penso ancora a ciò che Camus scrisse.
“Forse non possiamo impedire a questo mondo di essere
un mondo in cui i bambini soffrono.
Ma possiamo diminuire il numero di bambini che soffrono.
E se non ci aiuti tu, chi altro al mondo può aiutarci?”
Mi piacerebbe sapere che ho fatto qualcosa per diminuire quelle sofferenze.>>

(Intervista a David Frost, maggio 1968)

Robert Kennedy

Robert Kennedy, i discorsi più belli

La sera del 5 giugno 1968, poco dopo aver vinto le primarie democratiche Robert Francis Kennedy fu raggiunto da alcuni proiettili. Quella sera “la crociata per unire gli americani” iniziata da RFK ad inizio ’68 si interruppe bruscamente, e con essa la speranza di porre fine alle divisioni nazionali. Una crociata durata 82 giorni di campagna elettorale, sognando la Casa Bianca, quasi raggiunta se non fossero stati per quei colpi di pistola, con la straordinaria capacità di coalizzare tutti gli americani, neri e bianchi, poveri e ricchi, verso obiettivi di crescita comune, di felicità e cambiamento, di redistribuzione delle opportunità e del benessere. Mentre oggi si assiste in Italia e nel mondo a disgregazioni e divisioni sociali, le lezioni politiche di Robert Kennedy, le sue idee e la sua saggezza, ci offrono spunti preziosi su cui riflettere.

Dunque, a cinquant’anni esatti dalla scomparsa di RFK, celebriamo il ricordo dell’ex Senatore con la seconda parte dell’appuntamento dedicato ai suoi discorsi più celebri. Il primo speech fu tenuto all’Università di Città del Capo, ed è incentrato sul cambiamento e sui progressi umani. Sulla necessità di avere una visione comune del mondo che si desidera costruire. Dal bisogno di rispettare e proteggere la libertà individuale. E soprattutto dall’esigenza di avere una visione, che deve essere costruita sui giovani e sulla qualità della giovinezza “intesa non come fatto anagrafico ma come stato d’animo”, eliminando i dogmi obsoleti, gli ostacoli e l’illusione della sicurezza.

Il secondo discorso fu pronunciato in una triste notte di aprile. Robert Kennedy si trovava in Indiana per la campagna elettorale, e mentre si apprestava ad arrivare ad Indianapolis fu informato dell’assassinio del Reverendo Martin Luther King Jr. Appena fu diffusa la notizia, in tutti gli Stati Uniti le reazioni di violenza non si fecero attendere, nelle città si registrarono duri scontri e proteste. RFK arrivò in città proprio quando Martin Luther King fu dichiarato morto, e i suoi consiglieri e le forze dell’ordine gli suggerirono subito di annullare gli impegni, ma Bobby Kennedy mantenne il suo impegno di parlare in un sobborgo di afroamericani, prese il microfono e fu lui a dare la notizia inaspettata della morte di Martin Luther King. In quella notte, mentre 60 grandi città statunitensi reagivano con violenza alla triste notizia, ad Indianapolis le parole del Senatore Kennedy trasmisero calma e serenità alla città.

L’ultimo discorso fu pronunciato a Cincinnati il giorno dopo l’assassinio di Martin Luther King, e riguarda il crescente livello di violenza che si stava diffondendo nelle città degli Stati Uniti. Violenza di tutti i tipi, non solo quella di pistole e bombe, ma anche la violenza che colpisce i poveri, quella causata dall’indifferenza e dall’immobilità delle istituzioni, e la violenza che avvelena le relazioni sociali tra uomini solo perché hanno un diverso colore della pelle. Con la conseguenza di finire a guardare le altre persone come estranei con cui si condivide “la città ma non la comunità”. Quella di RFK è una lezione profonda, una sintesi perfetta del rapporto complesso tra persone e comunità che a distanza di cinque decenni ci pone molti punti interrogativi. Dovremmo prima di tutto domandarci se noi stessi trattiamo le persone intorno a noi come parte di una comunità e non come estranei, e se agiamo in modo che la crescita personale si realizzi in modo da far crescere tutti. Dovremmo agire come comunità, senza escludere nessuno, e dovremmo ricordarci che tutti noi condividiamo lo stesso breve istante di vita e che “il futuro dei nostri figli non può essere costruito sulle disgrazie di qualcun altro”.

 

Discorso a Città del Capo, 6 giugno 1966

La strada verso l’uguaglianza e la libertà non è agevole e mentre la percorriamo dobbiamo pagare un prezzo pesante e dobbiamo correre rischi enormi. Ci siamo impegnati a cambiare le cose in maniera pacifica e non violenta ed è importante che tutti lo capiscano anche se il cambiamento di per sé sconvolge l’ordine delle cose. Ma anche nel disordine della protesta e della lotta c’è il seme della speranza in quanto tutti gli uomini imparano a reclamare e ad ottenere per sé quei diritti in precedenza supplicati da altri. […]

In taluni paesi si teme che il cambiamento possa soffocare i diritti di una minoranza, in particolar modo se si tratta di una minoranza di razza diversa dalla maggioranza.

Negli Stati Uniti crediamo nella tutela delle minoranze; riconosciamo il contributo che possono dare e la guida che possono offrire e riteniamo che nessuno – si tratti di una minoranza, di una maggioranza, di un individuo – possa essere “sacrificato” sull’altare di una teoria o di una linea politica.

Inoltre, riconosciamo che la giustizia tra gli uomini e le nazioni è imperfetta e che i progressi dell’umanità sono a volte molto lenti.

Il modello e il ritmo dello sviluppo non sono uguali per tutti. Le nazioni, al pari degli uomini, marciano sovente al ritmo di tamburi diversi e gli Stati Uniti non sono in grado di indicare né di trapiantare soluzioni valide per tutti. Ciò che conta è che tutte le nazioni marcino verso un allargamento della libertà, verso la giustizia per tutti, verso una società sufficientemente forte e flessibile da soddisfare i bisogni di tutti e verso un mondo in profondo e vertiginoso cambiamento. […]

Solo gli uomini il cui spirito è incapace di volare rimangono aggrappati alla cupa e dannosa superstizione secondo cui il confine del mondo è la collina più vicina, l’universo finisce lungo le rive del vicino ruscello, l’umanità si esaurisce nel ristretto circolo di coloro che abitano la stessa città, hanno le stesse opinioni e il medesimo colore della pelle. […]

Dobbiamo soprattutto avere una comune visione del mondo che desideriamo costruire. Dovrebbe essere un mondo di nazioni indipendenti che si pongono l’obiettivo di creare una comunità internazionale e che rispettano e proteggono le libertà individuali.

Dovrebbe essere un mondo in costante progresso economico, un mondo nel quale il benessere materiale non sia ritenuto un fine ma il mezzo per mettere ogni essere umano nella condizione di realizzare i suoi talenti e le sue speranze.

Dovrebbe essere, in breve, un mondo della cui costruzione potremmo essere fieri. […]

La nostra risposta è la speranza del mondo: fidare sui giovani. Non saranno i dogmi obsoleti né gli slogan superati a decretare la fine delle crudeltà e degli ostacoli di questo pianeta in rapida trasformazione. Né saranno coloro che si aggrappano ancora ad un presente che sta già morendo, che preferiscono l’illusione della sicurezza all’eccitazione e ai rischi che accompagnano anche il progresso più pacifico.

Questo mondo ha bisogno delle qualità della giovinezza, intesa non come fatto anagrafico ma come stato d’animo, come disposizione della volontà, come requisito della fantasia, come predominio del coraggio sull’esitazione, della sete di avventura sull’amore per la tranquillità.

 

Discorso in occasione della morte di Martin Luther King Jr., Indianapolis, 4 aprile 1968

Signore e signori, questa sera sono qui per parlare un paio di minuti soltanto. Perché… Ho una notizia molto triste per voi, e credo una notizia triste per tutti i nostri concittadini americani, e per coloro che amano la pace in tutto il mondo. Martin Luther King è stato assassinato questa sera a Memphis, nel Tennessee.

Martin Luther King ha dedicato la sua vita alla causa dell’amore e della giustizia per tutti gli esseri umani, ed è morto proprio a causa di questo suo impegno. In questo momento così difficile per gli Stati Uniti, dovremmo forse chiederci che tipo di nazione rappresentiamo e quali sono i nostri obiettivi. Può certo esserci amarezza, odio, e desiderio di vendetta tra le persone di colore che si trovano tra voi, viste le prove che ci sono dei bianchi tra i responsabili dell’assassinio.

Possiamo scegliere di muoverci in questa direzione come nazione, in una ulteriore polarizzazione, dividendoci neri con neri, bianchi con bianchi, pieni di odio gli uni verso gli altri. O possiamo invece fare uno sforzo per capire, come ha fatto Martin Luther King, e sostituire a questa violenza, a questa macchia di sangue che si è allargata a tutto il paese, un tentativo di comprendere attraverso la compassione e l’amore.

A quelli di voi che sono tentati di lasciarsi andare all’odio e alla sfiducia verso i bianchi per l’ingiustizia di quello che è accaduto, posso soltanto dire che provo i loro stessi sentimenti in fondo al mio cuore. Ho avuto anch’io qualcuno della mia famiglia ucciso, anche se da un uomo bianco come lui. Ma dobbiamo fare uno sforzo negli Stati Uniti, dobbiamo fare uno sforzo per comprendere, per superare questi momenti difficili.

Il mio poeta preferito è Eschilo. Egli scrisse: “Anche mentre dormiamo, il dolore che non riesce a dimenticare cade goccia a goccia sul nostro cuore fino a quando, pur nella nostra disperazione e persino contro la nostra volontà la saggezza prevale attraverso la grazia di Dio”.

Non abbiamo certo bisogno di divisioni negli Stati Uniti, non abbiamo bisogno di odio, né di violenza o anarchia. Abbiamo invece bisogno di amore e saggezza, compassione gli uni verso gli altri, e di un sentimento di giustizia verso tutti coloro che ancora soffrono nel nostro paese, siano essi bianchi o neri.

Questa sera vi chiedo quindi di tornare alle vostre case e di dire una preghiera per la famiglia di Martin Luther King. Ma, cosa ancora più importante, vi chiedo di dire una preghiera per il nostro paese che tutti amiamo, una preghiera perché possiamo provare quell’amore e quella compassione di cui parlavo poco fa. Possiamo fare molto nel nostro paese. Ci saranno indubbiamente momenti difficili. Ne abbiamo avuti in passato e ne avremo sicuramente in futuro. Non siamo ancora, purtroppo, alla fine della violenza, dell’anarchia e del disordine. Ma la grande maggioranza dei bianchi e dei neri di questo paese vuole migliorare la qualità della nostra vita e vuole giustizia per tutti gli esseri umani che vivono nella nostra terra.

Dedichiamoci a perseguire quello che i greci scrissero tanti anni fa: domare la natura selvaggia dell’uomo e rendere gentile la vita in questo nostro mondo.

Dedichiamoci a questo, e diciamo tutti una preghiera per il nostro paese e per la nostra gente. Grazie.

The Landmark for Peace

“The Landmark for Peace” è un monumento in bronzo e acciaio che raffigura il Senatore Robert Kennedy, a sinistra, e il Reverendo Martin Luther King Jr, che si incontrano su una passerella del Martin Luther King Jr. Park a Indianapolis.

Discorso a Cincinnati, 5 aprile 1968

Ogni volta che la vita di un americano viene spezzata senza motivo da un altro americano, ogni volta che viene lacerato quel tessuto vitale che un altro uomo ha così dolorosamente e faticosamente intrecciato, per se stesso e per i suoi figli, ogni volta che questo accade l’intera nazione ne resta umiliata.

Eppure sembriamo tollerare un livello crescente di violenza, che ignora sia la nostra comune umanità che le nostre pretese di civiltà. Accettiamo tranquillamente reportage giornalistici di civili massacrati in terre lontane. Glorifichiamo le uccisioni sugli schermi del cinema e della TV, e lo chiamiamo “intrattenimento”.

Troppo spesso giustifichiamo coloro che vogliono costruire la propria vita sui sogni infranti di altri esseri umani.  C’è poi un altro tipo di violenza, più lenta ma altrettanto nefasta e devastante…quanto un colpo di fucile o una bomba nella notte. È la violenza delle istituzioni, l’indifferenza, l’immobilità e il degrado. Questa è la violenza che colpisce i poveri, e avvelena le relazioni fra gli uomini perché hanno un diverso colore della pelle. È la lenta distruzione di un bambino per fame, e scuole senza libri, e case senza il riscaldamento d’inverno.

Si toglie all’uomo la sua essenza nel negargli la possibilità di presentarsi come un padre e come un uomo in mezzo ad altri uomini. E anche questo colpisce tutti noi.

Quando insegni ad un uomo ad odiare e temere suo fratello, quando insegni che l’altro è inferiore a causa del suo colore o per quello in cui crede, o per le sue idee politiche, quando insegni che quelli diversi da te minacciano la tua libertà, il tuo lavoro, la tua casa o la tua famiglia, allora impari anche ad affrontare gli altri non come concittadini ma come nemici, impari ad essere accolto non con collaborazione ma con sopraffazione, impari ad essere soggiogato e reso schiavo. 

Alla fine impariamo a guardare ai nostri fratelli come estranei. Estranei con cui condividiamo la città ma non la comunità, persone legate a noi dal luogo in cui vivono, ma non da un intento comune. Impariamo a condividere solo una paura comune, un comune desiderio di allontanarci l’uno dall’altro, una spinta comune a rispondere al disaccordo con la violenza.

Dobbiamo riconoscere la vanità delle false distinzioni, le false distinzioni fra gli uomini, e dobbiamo trovare il nostro modo di crescere, nello sforzo di far crescere tutti. Dobbiamo riconoscere di fronte a noi stessi che il futuro dei nostri figli non può essere costruito sulle disgrazie di qualcun altro.

La nostra vita su questo pianeta è troppo breve, il lavoro da fare è troppo grande, per permettere che questo sentimento si diffonda ancora, in questo nostro paese. Di certo non si può cancellare il problema con un programma, né con una legge. Potremmo però ricordarci, almeno una volta, che coloro che vivono con noi sono nostri fratelli, e condividono con noi lo stesso breve istante di vita. Che essi desiderano, come noi, solo la possibilità di vivere la propria vita, con motivazione e felicità, conquistando ogni soddisfazione e ogni realizzazione possibile.

 

Fonti:

[1] WALTER VELTRONI, Il sogno spezzato. Le Idee di Robert Kennedy, Milano, Baldini&Castoldi, 1993

[2] ROBERT F. KENNEDY, Sogno cose che non sono state mai (A cura di Giovanni Borgognone), Torino, Einaudi, 2012

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