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L’indifferenziato intervista Riccardo Cucchi

Riccardo Cucchi: il signore della radiocronaca

Quella di Riccardo Cucchi è una delle voci che potremmo riconoscere tra milioni: ha accompagnato le nostre domeniche pomeriggio con il suo linguaggio semplice ma completo e una notte di Luglio del 2006, in quel di Berlino, è entrato definitivamente nella storia giornalistica del nostro Paese. Laureatosi nel 1975 in lettere, entra in Rai dopo aver vinto un concorso per radiocronisti. Dal 1994, per 23 anni, sarà la voce principale di Tutto il Calcio Minuto per Minuto. La sua ultima radiocronaca è stata Inter-Empoli del 12 febbraio 2017.

Per chi scrive è semplicemente un gentiluomo del giornalismo, una persona che ha fatto dell’educazione e della preparazione la sua cifra distintiva.

Intervista a Riccardo Cucchi

Benvenuto all’intervista de L’Indifferenziato a Riccardo Cucchi.  Iniziamo subito con la prima domanda.

1)      “Non Sprecare parole è il punto di partenza. Direi alla radio come nella vita. Trovate quelle giuste dentro di voi. Vi accorgerete ne bastano poche. E ricordate che per trasmettere emozioni bisogna emozionarsi. I trucchi con gli ascoltatori non funzionano.” In queste parole contenute nel suo Libro” Radiogol” possiamo trovare la sintesi della sua filosofia di vita?

Direi di si, Un lavoro di ” sottrazione” in fondo. Sottrazione che non vuol dire omissione. Credo che ai nostri tempi ci sia uno spreco di parole. Troppe e forse inutili. E spesso chi parla troppo cerca di nascondere il poco che ha da dire. Le parole devono essere quelle giuste. E devono essere vere. Ho imparato, lavorando, che in 50″ alla radio si può raccontare un mondo. Purché ci si aderisca, lo si comprenda, ci emozioni.

2)      Emozione fa rima con Tifo. Lei è un grandissimo tifoso della Lazio: come è riuscito in questi anni a mantenere un professionale distacco quando giocava la sua squadra? Il destino ovviamente si è divertito a farla diventare uno dei cantori della vittoria dello scudetto dei bianco-azzurri. Quanto c’è del tifoso e quanto del radiocronista nella celebre: “Sono le 18:04 del 14 maggio del 2000”…

Non ho faticato a non far emergere il ” tifoso” che era in me. Del resto non si può amare il calcio senza amare una squadra. Ho sempre rispettato la passione di tutti. Questo è stato il mio lavoro. Aderire alla passione di chi ascoltava. Un giornalista non può essere tifoso. Non si può essere ” testimoni” se non si è attendibili. E io ho amato questa definizione del nostro lavoro che fu di Enzo Biagi: un giornalista è un testimone della realtà.
E anche il quel ” 18 e 4 minuti” c’è il cronista più del laziale. Era inusuale che uno scudetto fosse assegnato alle 18.00 in tempi in cui le ultime giornate si giocavano in contemporanea, alle 15.00. E a Perugia, in Perugia-Juventus, il nubifragio costrinse Collina ad attendere un’ora e un quarto prima di far giocare il secondo tempo.

3)      Quando ha deciso che la sua professione sarebbe stata: il giornalista/radiocronista sportivo? Oggi lo consiglierebbe ad un ragazzo? Se sì, quali consigli si sentirebbe di dargli.

L’ho deciso a otto anni, quando, rapito, ascoltavo le voci di Ameri e Ciotti che mi trascinavano negli stadi con loro. Ma era un sogno allora. Non immaginavo di poterlo realizzare. Si, lo consiglierei ad un giovane. E’ un lavoro affascinante e romantico. Un solo consiglio, il più importante: racconta dov’è il pallone. Dov’è. Perché chi ascolta deve saperlo per attivare la sua immaginazione.

4)      Quali sono i tre giocatori che l’hanno fatta “innamorare di più” e che adesso le mancano? Se guarda i giovani emergenti italiani chi crede possa diventare un Campione, volutamente con la C maiuscola, della Nazionale del futuro.

Maradona, Platini, Baggio. Ma ho amato, e moltissimo, anche Totti. Per fortuna ne ho visti molti di grandi giocatori negli anni ottanta. Oggi? Non vedo fuoriclasse in Italia. Spero di sbagliarmi però.

5)      Abbiamo introdotto un’altra parola chiave: Nazionale. Non posso esimermi, dunque, dal chiederle cosa ha provato ad esclamare, in un misto tra gioia ed emozione, quattro volte, Campioni Del Mondo in quel 9 luglio del 2006.

Emozione, stupore, felicità. E incredulità. Ancora oggi, specie se penso che alla radio soltanto Carosio, nel 34 e nel 38, ed Ameri nell’82 ebbero in sorte di gridare: ” Campioni del Mondo!” . Ciotti non ci riuscì. La ” sua” finale – a Pasadena nel 94 – finì con un rigore di Baggio che mandò alle stelle i suoi sogni ed i nostri. Sono stato un privilegiato….

6)      L’Italia calcistica in quest’ultimo anno ha vissuto probabilmente il momento più difficile della sua storia. Al di là dell’aspetto tecnico-tattico, quella rivoluzione, da tanti auspicata e da troppi a vuoto annunciata, a livello di sistema anche questa volta è stata rimandata a data da destinarsi. Il Mondo del Calcio italiano avrà prima o poi la possibilità di cambiare radicalmente per migliorare la sua assurda gestione?

Me lo auguro. Il problema principale è che è mancata una generazione – forse due – di autentici campioni, dopo Del Piero, Totti, Pirlo, Buffon, Cannavaro, Nesta e tanti altri. La nostra crisi parte dalla notte di Berlino. Non abbiamo innovato sedendoci sugli allori del titolo mondiale. Si deve ricominciare dalle scuole calcio: meno tattica, meno forza fisica e più dribbling. I bambini devono potersi divertire a giocare. Non deve contare il risultato, ma la tecnica. Come hanno fatto, e fanno, in Spagna.

7)      Ora le dirò dei nomi di grandi personaggi sportivi, presenti e passati, mi dica il primo aggettivo che le viene in mente:

a) Gianni Rivera: eleganza

b) Maradona: poesia

c) Sandro Ciotti: ironia

d) Marco Pantani: fragilità

e) Francesco Totti: umanità

f) Vujadin Boskov: simpatia

g) Usain Bolt: potenza

h) Giovanni Trapattoni: saggezza

i) Mario Balotelli: arroganza

j) Pep Guardiola: genialità

k) Jose Mourinho: furbizia

l) Gianni Brera: maestria

m) Johan Cruyff: modernità

n) Alessandro Nesta: stile

o) Muhammed Alì: forza

p) Juan Sebastian Veron: intelligenza

 

8)      Quanto manca al Paese Italia una vera cultura sportiva? Quanto, lo sport, si lega alla cultura di una nazione?

Manca molto. Siamo un paese che ha bisogno di crescere in cultura sportiva e imparare la lezione dello sport che è competizione ma anche rispetto dell’avversario. In campo e sulle tribune. Preferiamo dividerci, nel calcio, nella politica, nella cultura. Anziché fare squadra. Il risultato si vede nell’odio che serpeggia anche dietro ad una partita di calcio. Purtroppo. 

9)      Forse non tutti sanno o ricordano che nel suo palmares da giornalista ci sono anche le Olimpiadi: qual è la gara più emozionante che ha narrato durante la competizione a cinque cerchi.

Ne ho raccontate otto. Ho visto tanti atleti cantare l’inno di Mameli. Ma la vittoria che conservo con maggiore affetto ed emozione nel cuore è quella di Gelindo Bordin nella maratona di Seul nel 1988. Primo italiano a vincere l’oro nella maratona, 80 anni dopo le olimpiadi di Londra nelle quali Dorando Pietri – primo sul traguardo – fu squalificato perché sorretto – stremato – da un giudice troppo compassionevole. 

10)   Chiudiamo con un augurio: cosa si sente di augurare alla trasmissione che l’ha resa celebre, “Tutto il calcio minuto per minuto” per il futuro?

Che continui a vivere di passione. Quella di chi ascolta ” Tutto il calcio” e quella di chi racconta le partite. Il calcio è un grande romanzo popolare. E ha bisogno di narratori emozionati e leali. Chi ascolta non ha immagini e deve fidarsi degli occhi dei radiocronisti.

 

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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