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Verso il 25 aprile: Lettere dalla resistenza (2a parte)

Lettere dalla resistenza è una rubrica che ci accompagnerà nel percorso verso il 25 aprile e alla manifestazione: Viva L’Italia che resiste.  Leggendo le parole, semplici, umili ma più forti di un pugno nello stomaco, dei partigiani condannati a morte è impossibile  restare indifferenti e non porsi alcune semplici domande:  il sacrificio volontario di quei giovani, nel nostro assurdo Paese è  servito a qualcosa?  L’Italia migliore, giusta sognata da tutti quelli eroi, si è effettivamente realizzata?  I giovani  conoscono e hanno realmente conoscienza del movimento della Resistenza?  Ognuno è libero di rispondere a questi quesiti come crede, personalmente ritengo oltraggioso verso la memoria e l’onore di questi uomini, quello che l’Italia sia diventata e stia diventando.

Bruno Frittaion (Attilio)
Di anni 19 – studente – nato a San Daniele del Friuli (Udine) il 13 ottobre 1925 -. Sino dal 1939 si dedica alla
costituzione delle prime cellule comuniste nella zona di San Daniele – studente del III corso di avviamento
professionale, dopo l’8 settembre 1943 abbandona la scuola unendosi alle formazioni partigiane operanti nella zona
prende parte a tutte le azioni del Battaglione “Písacane”, Brigata “Tagliamento”, e quindi, con funzioni di vicecommissario
di Distaccamento, dei Battaglione “Silvio Pellíco ” -. Catturato il 15 dicembre 1944 da elementi delle SS
italiane, in seguito a delazione, mentre con il compagno Adriano Carlon si trova nella casa di uno zio a predisporre i
mezzi per una imminente azione – tradotto nelle carceri di Udine – più volte torturato -. Processato il 22 gennaio 1945
dal Tribunale Militare Territoriale tedesco di Udine -. Fucilato il 1 febbraio 1945 nei pressi dei cimitero di Tarcento
(Udine), con Adriano Carlon, Angelo Lipponi, Cesare Longo, Elio Marcuz, Giannino Putto, Calogero Zaffuto e Pietro
Zanier.

31 gennaio 1945
Edda
voglio scriverti queste mie ultime, e poche righe. Edda, purtroppo sono le ultime si, il destino vuole così, spero ti
giungano di conforto in tanta triste sventura.
Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano anzi sia di aiuto nella grande lotta. Di quella causa che fino a oggi ho servito senza nulla chiedere e sempre sperando che un giorno ogni sacrificio abbia il suo ricompenso. Per me la migliore ricompensa era quella di vedere fiorire l’idea che purtroppo per poco ho servito, ma sempre fedelmente.
Edda il destino ci separa, il destino uccide il nostro amore quell’amore che io nutrivo per te e che aspettava quel giorno
che ci faceva felici per sempre. Edda, abbi sempre un ricordo di chi ti ha sempre sinceramente amato. Addio a tutti.
Addio Edda

Letteredeipartigiani

Giancarlo Puecher Passavalli
Di anni 20 – dottore in legge – nato a Milano il 23 agosto 1923 -. Subito dopo l’8 settembre 1943 diventa l’organizzatore
ed il capo dei gruppi partigiani che si vanno formando nella zona di Erba-Pontelambro (Como) – svolge numerose
azioni, fra cui rilevante quella al Crotto Rosa di Erba, per il ricupero di materiale militare e di quadrupedi -. Catturato il
12 novembre 1943 a Erba, da militi delle locali Brigate Nere – tradotto nelle carceri San Donnino in Como – più volte
torturato -. Processato il 21 dicembre 1943 dal Tribunale Speciale Militare di Erba -. Fucilato lo stesso 21 dicembre
1943, al cimitero nuovo di Erba, da militi delle Brigate Nere -. Medaglia d’Oro al Valor Militare -. E’ figlio di Giorgio
Puecher Passavalli, deportato al campo di Mauthausen ed ivi deceduto.
Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato: Spero che il mio esempio serva ai miei
fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto… Accetto con rassegnazione il suo volere.
Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana
rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse per i vent’anni della mia vita.
L’amavo troppo la mia Patria; non la tradite, e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della
vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale.  Perdono a coloro che mi giustiziano perché non sanno
quello che fanno e non sanno che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.
A te Papà l’imperituro grazie per ciò che sempre mi permettesti di fare e mi concedesti.
Gino e Gianni siano degni continuatori delle gesta eroiche della nostra famiglia e non si sgomentino di fronte alla mia
perdita. I martiri convalidano la fede in una Idea. Ho sempre creduto in Dio e perciò accetto la Sua volontà. Baci a tutti.
Giancarlo

Roma, lì 11 maggio 1944
dal Carcere Regina Coeli,

Mario,
Maccolo mio Ninì, come vedi il tuo papalino se ne va senza poterti parlare come vorrebbe, ma ti scrive ancora una volta,
una letterina solo per te, come sempre tu mi chiedevi.
Il mio sogno era quello di vederti crescere, di istruirti a tuo modo; forgiarti alle tue idee e ai tuoi sentimenti. Ma tutto è
perduto; ti è rimasto il mio esempio e tu ne sono certo, saprai calcare questa orma di onestà e lealtà. Saprai esserne
degno non è vero? Questo devi prometterlo sulla mia tomba, come io lo promisi col sacro giuramento sulla tomba del
padre mio. Tu dovrai portare il mio nome e onorarlo perché è sacro per te.
Ama tanto la tua cara Nonnina; tu devi prendere completamente il mio posto perché la sua pena venga alleviata e perché
non senta tanto il vuoto che si è formato intorno a lei.
Ama tanto la tua cara mammina, tu non potrai mai sapere quanti immensi sacrifici ha sopportato per te, quanti dolori e
umiliazioni ha patito per farti un ometto quale tu sei. E’ stata tanto sfortunata nella sua vita, quanto è stata buona e
affettuosa.
E tu devi ricompensare con affetto e buone azioni.
Ma soprattutto ama e abbi fede nella Patria. Ad essa anteponi tutti gli affetti e se ti chiede la vita offrigliela cantando.
Sentirai allora, come io lo sento adesso, quanto è bello morire per lei e che la morte ha un effettivo valore.
Sappi e non dimenticarlo mai che il tuo papalino se ne va sorridendo, fiducioso e senza un attimo solo di debolezza, da
uomo forte di nervi e di animo, sicuro di aver fatto fino all’ultimo istante il suo dovere verso la Patria amata.
Sii uomo forte e fiero, buono e giusto. Ti bacia tanto teneramente.

 

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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