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LIB(e)RO PENSIERO n. 19 – La soppressione della discussione

<< E’ sperabile siano passati, ormai, i tempi in cui bisognava difendere la “libertà di stampa” come una delle garanzie contro governi corrotti o tirannici. Sarà ormai superfluo, immagino, mettersi a spiegare come non si possa permettere al legislatore o all’esecutivo che abbiano interessi diversi da quelli del popolo, di prescrivere alla gente quali opinioni avere o di decidere quali dottrine o quali argomenti sia lecito stare ad ascoltare. […] Quand’anche l’intera umanità, a eccezione di una sola persona, avesse una certa opinione, e quell’unica persona ne avesse una opposta, non per questo l’umanità potrebbe metterla a tacere: non avrebbe maggiori giustificazioni di quante ne avrebbe quell’unica persona per mettere a tacere l’umanità, avendone il potere. […] impedire l’espressione di un’opinione è un crimine particolare, perché deruba la specie umana: deruba tanto i posteri come la generazione attuale, deruba chi dissente da quell’opinione ancor più di coloro che la condividono. Se l’opinione è giusta, sono privati dell’opportunità di passare dall’errore alla verità; se è sbagliata, perdono un beneficio quasi altrettanto grande, la percezione più chiara e viva della verità, fatta risaltare dal contrasto con l’errore.
[…] Non possiamo mai essere certi che l’opinione che stiamo cercando di soffocare sia falsa; e anche se lo fossimo, soffocarla resterebbe un male.
In primo luogo, l’opinione che si cerca di sopprimere d’autorità potrebbe essere vera. Naturalmente, coloro che desiderano sopprimerla ne negheranno la verità: ma non sono infallibili. Non hanno alcuna autorità di decidere la questione per tutta l’umanità, togliendo a chiunque altro la possibilità di giudizio. Rifiutarsi di ascoltare un’opinione perché si è certi che è falsa significa presupporre che la “propria” certezza coincida con la certezza “assoluta”. Ogni soppressione della discussione è una presunzione di infallibilità: per condannarla basta questo ragionamento, semplice, ma non per questo meno valido.
Purtroppo, e sfortunatamente per il buon senso degli uomini, il fatto che siamo esseri fallibili non conserva mai nei giudizi pratici quel peso che gli si riconosce sempre in teoria; infatti, mentre ciascuno sa benissimo di essere fallibile, pochi ritengono necessario cautelarsi dalla propria fallibilità, o ammettere la supposizione che una qualsiasi opinione di cui si sentano del tutto certi possa essere un esempio di quell’errore cui si riconoscono soggetti. I sovrani assoluti, o coloro che sono abituati a una deferenza illimitata, generalmente hanno questa completa fiducia nelle proprie opinioni su quasi ogni questione. Chi è in posizione più felice, chi cioè ha occasione di sentir mettere in discussione le proprie opinioni ed è anche abbastanza avvezzo a vedersi correggere quando ha torto, ripone un’analoga fiducia in una sua opinione solo quando è condivisa da tutti coloro che lo circondano o al cui parere di solito si rimettono: perché quanto meno un uomo avrà fiducia nel proprio giudizio personale e individuale, tanto più si rimetterà con cieca fiducia all’infallibilità del “mondo” in generale. E per tutti gli uomini, il mondo significa quella parte con cui ognuno entra in contatto: il suo partito, la sua setta, la sua chiesa, la sua classe sociale; al confronto, si potrà quasi definire liberale e di ampie vedute quell’uomo ai cui occhi il mondo arriva ad abbracciare il suo Paese o la sua epoca. La fede dell’individuo in questa autorità collettiva non vacillerà minimamente, neanche quando si renderà conto che altre epoche, altri Paesi, sette, chiese, classi e partiti hanno pensato esattamente il contrario, e magari lo pensano ancora. Egli trasferisce al proprio mondo la responsabilità di aver ragione, di fronte al dissenso dei mondi altrui; e non lo turba mai il pensiero che solo un puro caso ha deciso quale di questi numerosi mondi sia oggetto della sua fiducia, e che le stesse cause che han fatto di lui un anglicano a Londra, avrebbero potuto farne un buddista o un confuciano a Pechino. Eppure, è cosa di per sé evidente, né la si potrebbe rendere più evidente con una sfilza di ragionamenti, che le epoche non sono più infallibili degli individui; a qualsiasi epoca è capitato di sostenere una quantità di opinioni che le epoche successive hanno ritenuto non solo false, ma assurde; ed è tanto certo che le epoche a venire respingeranno parecchie opinioni oggi generalmente diffuse, quanto è certo che molte opinioni un tempo diffuse sono oggi respinte da questa nostra epoca.
[…] C’è una bella differenza fra presumere che un’opinione sia vera perché non è stata rigettata malgrado tutte le opportunità di confutarla, e presumere che sia vera per non consentire che venga confutata. Una totale libertà di contestare e confutare le opinioni è la condizione stessa che ci giustifica a considerarle vere ai fini dell’azione; e su nessun’altra base, un essere dotato di facoltà umane potrà mai essere razionalmente sicuro di essere nel giusto.
[…] Prendiamo il caso di una persona il cui giudizio meriti davvero la nostra fiducia: come se l’è conquistata? Perche ha mantenuto la sua mente aperta alla critica delle proprie opinioni e della propria condotta; perché è uno che è stato sempre ad ascoltare tutto ciò che si poteva dire contro di lui, mettendone a frutto quanto fosse giusto e spiegando a se stesso, e se del caso anche agli altri, la fallacia di quel che fallace era. Se l’è conquistata perché si è accorto che l’unico modo in cui si può avvicinare un po’ alla conoscenza globale di una questione è quello di ascoltare quel che ne hanno da dire le persone di tutte le diverse opinioni, e di studiare tutti i vari modi in cui la può vedere la mente umana, a seconda dei diversi punti di vista. Nessuno ha mai raggiunto la saggezza in altro modo; e la natura dell’intelletto umano non ci da altra via per raggiungerla. La costante abitudine a correggere le proprie opinioni e a perfezionarle confrontandole con quelle degli altri, lungi dal provocare in noi dubbi ed esitazioni al momento di tradurle in pratica, è invece l’unico fondamento stabile per fare affidamento su di esse […] >>.

John Stuart Mill, “Saggio sulla libertà” (1859).

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"Quando non si conosce la verità di una cosa, è bene che vi sia un errore comune che fissi la mente degli uomini. La malattia principale dell'uomo è la malattia inquieta delle cose che non può conoscere; e per lui è minor male essere nell'errore che in quella curiosità inutile".

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