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L’Intervista de L’Indifferenziato alla giornalista Stefania Limiti

Stefania Limiti_ l'intervista_de_l'indifferenziatoTorna con un nuovo numero L’Intervista de L’Indifferenziato: questa volta nostra graditissima ospite è la giornalista e scrittrice, Stefania Limiti.

Giornalista professionista e laureata in scienze politiche, nel corso della sua prestigiosa carriera ha collaborato con importanti testate, in particolare con il settimanale «Gente», su temi di attualità e di politica internazionale. Ha lavorato, inoltre, per «l’Espresso», «Left», «La Rinascita della Sinistra» e «Aprile». Negli ultimi due anni ha approfondito e si è dedicata alla ricostruzione di pezzi ancora oscuri della nostra storia con una particolare attenzione alla strategia della tensione e al Caso Moro.

Per scaricare l’intervista basta cliccare sul seguente link —->Intervista_Stefania_Limiti

Riuscire a trovare le verità oggi significherebbe poter ricostruire in modo autentico e vero la storia recente del nostro Paese. Gli anni di vita della Repubblica sono stati segnati dallo stragismo e dai fenomeni destabilizzanti ma noi ancora non abbiamo capito il perché. Non abbiamo fondamentalmente capito chi è stato: ci sono alcune stragi che sono rimaste impunite e addirittura altre di cui non si hanno gli esecutori materiali, come ad esempio per l’Italicus. In altri casi, invece, abbiamo sentenze che hanno condannato alcune persone ma non sono riuscite a stabilire le responsabilità a livello ideativo e progettuale…” 

L’INTERVISTA A STEFANIA LIMITI

­La prima è una domanda di presentazione: Complici, Doppio Livello, L’Anello della Repubblica, sono alcuni dei suoi principali lavori. La domanda, dunque, sorge spontanea da dove nasce la sua passione per gli anni del terrorismo.  A livello umano, invece, dove trova la forza per compiere queste ricerche così dispendiose?  Cosa comporterebbe ancora oggi sapere la verità su quel determinato periodo storico?

Sono domande sulle quali si potrebbe parlare molto, sembrano semplici ma in realtà sono molto complicate. Il mio interesse deriva e nasce anche dalla mia militanza politica quindi dal mio sguardo sul mondo. Questo mi ha portato ad avere una curiosità nei confronti degli eventi che hanno segnato la storia di questo paese. E’ stato un processo di formazione piuttosto lento e graduale che mi ha portato a concepire l’attività giornalistica al servizio della verità o comunque al servizio di un approfondimento delle materie irrisolte che erano già state oggetto, in passato, di un grande lavoro investigativo da parte di giornalisti e magistrati.

Riuscire a trovare le verità oggi significherebbe poter ricostruire in modo autentico la storia recente del nostro Paese. Gli anni di vita della Repubblica sono stati segnati dallo stragismo e dai fenomeni destabilizzanti ma ancora non si è capito il perché. Non abbiamo capito chi è stato: di molte stragi non conosciamo la ‘mente’, di altre neanche gli esecutori materiali (come ad esempio per l’Italicus). Ci sono sentenze che hanno individuato molte responsabilità ma non quelle a livello ideativo e progettuale. Certo, il lavoro fatto in questi anni dalla magistratura e dai giornalisti ha portato ad avere una comprensione degli eventi, ma non è stato possibile codificarlo in un giudizio storico più compiuto, perché si tratta di fatti relativamente recenti sui quali gli storici non intervengono ancora, poiché essi amano lavorare sugli archivi, ed è anche abbastanza comprensibile. Purtroppo però, in questo tipo di vicende gli archivi possono dire tanto ma certamente non contengono le carte segrete: quelle sono nascoste da altre parti, possono essere state bruciate e comunque non vengono certo messe a disposizione di chi cerca la verità. Fare un lavoro sugli archivi, dunque, è molto complicato: sicuramente ci sono ancora documenti interessanti da studiare, soprattutto per chi lo fa con i criteri storiografici, tuttavia credo che il lavoro di ricostruzione di questi anni sia basato essenzialmente sul contributo di noi giornalisti, delle associazioni che si battono per la memoria, insomma, in senso più esteso, al contributo della società civile che interessandosi su queste materie, chiedendo, discutendo, pone un problema democratico di richiesta di verità che deve trovare una risposta.

Complici- Stefania Limiti e Sandro ProvvisionatoCaso Moro: appare evidente una verità ufficiale di comodo e una verità reale (nascosta). Oggi ad un ragazzo di 18 anni, che sa poco o nulla sul caso Moro o  al massimo conosce una verità di comodo, come spiegherebbe come sono andate le cose, perché è stato ucciso Aldo Moro e perché in quel modo.

Aldo Moro nel 1978 stava lavorando ad una svolta politica estremamente importante: premeva affinché entrassero nell’area di Governo le forze comuniste e progressiste che rappresentavano la grande massa dei lavoratori. Alla vigilia di questa svolta viene rapito e ucciso. Moro aveva elaborato questa strategia politica perché riteneva che il suo partito, la Democrazia Cristiana, non fosse più sufficiente a garantire un governo adeguato al Paese e stava facendo in modo, dunque, che la classe operaia e dei lavoratori non restassero ai margini della società. Noi non sappiamo se questo progetto sarebbe andato a buon fine. Sappiamo, tuttavia, che fu interrotto. Aldo Moro fu rapito da un gruppo rivoluzionario, le “Brigate Rosse”; un gruppo che aveva una storia molto lunga e molto complessa; un gruppo che in quei mesi aveva avviato una campagna contro la Democrazia Cristiana, il partito che rappresentava il Governo ed era responsabile, secondo le loro analisi, di tutte le ingiustizie del nostro Paese, in particolare dello squilibrio di ricchezze tra classi dominanti e dei lavoratori. Nell’ambito di questo loro progetto decisero di colpire Aldo Moro: tecnicamente era un obiettivo più ‘facile’ perché Moro, che in quel momento non aveva responsabilità di Governo, era meno tutelato dal punto di vista della sicurezza rispetto ad altri uomini politici.

Nei numerosi comunicati emessi nell’arco dei 55 giorni nei quali lo tengono in ostaggio nella prigione del Popolo, danno conto all’opinione pubblica degli interrogatori che fanno al prigioniero. In tutti questi non parlano mai dell’azione politica di convergenza tra la Dc e il Pci ma si concentrano solo su Moro e la Democrazia Cristiana. La ricostruzione degli eventi, dal momento in cui Moro viene rapito in Via Fani il 16 marzo 1978 al momento in cui viene ritrovato in una Renault rossa la mattina del 9 maggio, è  costellata da racconti e fatti che non sono stati mai chiariti, proprio mai. E’ facile, logico ed incontrovertibile affermare che la versione raccontata da alcuni Brigatisti è una versione fasulla. Non c’hanno detto tutto.

Perché non hanno detto tutto? Forse volevano coprire altri loro compagni? Molti elementi lo suggeriscono, però, un’altra strada ci dice che hanno raccontato una versione non vera perché c’era qualcosa di indicibile. Quello che sappiamo con certezza è che la verità ufficiale del caso Moro è stata scritta attorno ad un tavolo al quale si sono seduti Valerio Morucci (BR) e uomini dall’apparato democristiano, rappresentati da Remigio Cavedon, vice direttore del Popolo. Morucci e Cavedon hanno scritto a 4 mani il famoso memoriale Morucci che racconta una versione dei fatti che nel tempo è stata completamente smentita. Noi sappiamo di sicuro che la verità ufficiale non funziona: sia le Br, sia la Dc dicono una falsa verità. Che cosa stanno coprendo? Questo è il quesito sul quale si sono arrovellati in questi anni tutti gli osservatori del caso. Con il trascorrere del tempo i dubbi e le ombre non si sono diradati: anzi, sono cresciuti sempre di più. Piccoli fatti sono stati chiariti ma nel complesso, a cominciare dalla sparatoria di Via Fani, molti elementi restano non solo non chiariti ma sempre più distanti dalla verità. Si può pensare di avere un futuro senza sapere cosa e chi si sta coprendo?

Gianni Rodari scriveva che nel Paese della bugia la verità è una malattia. Siamo davvero un Paese in cui la verità è meglio non conoscerla?

La domanda posta così mi fa reagire dicendo no, questo è un Paese che merita la verità! Noi meritiamo la verità perché essa è rivoluzionaria ed è ciò che di meglio possa esserci per costruire le basi di una convivenza democratica ed equilibrata. Ogni popolo merita la verità. Purtroppo però, ha ragione Gianni Rodari quando dice che siamo il Paese della bugia, perché effettivamente i nostri apparati istituzionali sono riusciti a coprire e a tutelare molti responsabili dello stragismo. Svolgendo questa funzione illegale, di tradimento verso i valori democratici ed istituzionali non hanno fatto altro che creare una base di bugie sulla quale è stata costruita una montagna di menzogne.

Faccio un esempio. In via Fani, si è scoperto recentemente, grazie al lavoro della Commissione Parlamentare Moro, che il capo della Digos romana arrivò troppo presto. Domenico Spinella non arrivò lì in seguito all’allarme che la Questura lanciò alle 9:02, si mosse in anticipo rispetto alla comunicazione. Perché succede questo? Non lo sappiamo di preciso. Probabilmente aveva avuto una soffiata prima. Forse va lì cercando di svolgere un ruolo di tutela, ma perché non avvisa gli uomini della scorta, magari suggerendo di cambiare strada? Vista l’importante riunione tenutasi il giorno prima nello studio privato di Moro, nella quale si era deciso di aumentare la scorta, forse si dirige proprio dalla vittima?

Quello che è certo è che il capo della Digos non ricevette una chiamata diretta dal centralino della Questura e quindi non venne avvisato personalmente. Noi non sappiamo il perché Spinella arriva troppo presto però questo accade e allora, per evitare che si scoprisse tale circostanza e per non creare suggestioni, ipotesi, dicerie, montature, si incominciano a dire tutta una serie di bugie: sugli orari degli arrivi, sulle automobili presenti, scompaiono delle foto realizzate dai passanti. Insomma, una piccola bugia (sperando fosse piccola), ha innescato una montagna di menzogne. Questo è il meccanismo con il quale gli apparati hanno spesso lavorato. In altri casi, invece, gli stessi hanno effettuato veri e propri depistaggi o difendendo terroristi e uomini dell’eversione o sapendo in anticipo notizie importanti ma non tenendone conto. Gli apparati hanno lavorato in questo modo e ciò ha fatto sì che l’Italia diventasse il Paese della Bugie.

Caso Moro- Caso dalla Chiesa: il movente per l’omicidio Dalla Chiesa si trova in quelle carte?

Il generale Dalla Chiesa aveva avviato una vera e propria caccia alle carte di Aldo Moro. Questo nel libro “Complici”, Sandro Provvisionato ed io lo raccontiamo dettagliatamente. Ci sono molte testimonianze e si può ricostruire con certezza tutta la vicenda. Per Dalla Chiesa le ‘carte’ erano diventate un vero e proprio incubo. Trova lui il covo di Via Monte Nevoso a Milano nel 1978, ma quello che succede lì dentro dopo la perquisizione non è certo ‘normale’. Sicuramente i Carabinieri portano via delle carte e le sottraggono ai Magistrati: lo testimonia il capitano Arlati. Cosa ci fa Dalla Chiesa con quelle carte? A Dalla Chiesa arriva una parte di quelle carte o tutto? Probabile che a lui arrivi solo una parte e che poi si metta a cercarle, come una vera e propria ossessione. Va nelle carceri, chiede aiuto al giornalista Carmine Pecorelli che viene poi ammazzato. Insomma la ricerca del memoriale diventa un intrigo. Dalla Chiesa è da poco Prefetto di Palermo quando viene ammazzato, ed è certo che in concomitanza dell’agguato qualcuno entra nella sua casa palermitana e forza la cassaforte che viene trovata aperta e naturalmente vuota. Certamente non sono ladri andati a rubare gioielli. Cosa c’era dentro quella cassaforte? Resta una dei punti interrogativi più feroci della ricostruzione del caso Moro: cosa sapeva il Generale, cosa custodiva nella sua cassaforte? Chi ha fatto in modo che quei segreti scomparissero? Purtroppo il caso Moro ha una lunga scia di morti a dimostrazione del fatto che intorno alla vicenda si sono generate delle trame oscure che hanno avuto lo scopo di coprire delle responsabilità.

L’Italia e le potenze straniere. Usa, Russia e Inghilterra che ruolo hanno avuto nella destabilizzazione del nostro Paese e perché si sono tanto interessate a noi?

L’Italia è sempre stato un paese centrale nell’Alleanza Atlantica. Centrale perché la sua posizione è centrale, ragion per cui è stato sempre  tenuto costantemente sotto osservazione. Per questo Moro non poteva varare il compromesso storico. Il politico della DC già aveva provato negli anni ‘60 ad avviare un esperimento di governo di centro-sinistra inglobando nell’esecutivo i socialisti ma anche in quel caso le cose andarono molto male: si misero di nuovo all’opera i servizi che organizzarono un grande dossieraggio di massa. Il Generale De Lorenzo preparò e predispose un tentativo di golpe: l’intenzione era quello di far parlare di golpe,  per stressare le istituzioni. Cosa che riuscì e l’esperimento politico venne bloccato. Moro, dunque, rientra all’interno del tentativo di dare all’Italia un governo sovrano che però sovrano non poteva essere perché era un paese dell’Alleanza Atlantica. Un paese facente parte di quell’organizzazione doveva essere a completa disposizione degli obiettivi della stessa, non poteva essere un Paese nel quale le forze democratiche potessero confrontarsi liberamente perché questo poteva significare anche un cambiamento di alleanze o comunque il rafforzamento di un governo che rivendicava i propri poteri riducendo la sudditanza. In Italia faceva paura la forza della classa operaie e anche la rappresentanza delle forze popolari attraverso il Partito Comunista. Dunque l’Italia non poteva essere un Paese libero.

Chiudiamo con una domanda di attualità. Che idea si è fatta del Caso Regeni? E’ giusto e doveroso che si faccia chiarezza: l’Italia vuole in fretta la verità dall’Egitto. Ma secondo il suo punto di vista, quanto credibili e legittime possono apparire agli occhi di uno Stato Estero le pretese di verità celere da parte di una nazione che non ha saputo (o voluto) fare chiarezza sulle principali tragedie di casa propria?

Il caso Regeni non lo conosco nei dettagli, ma solo attraverso quello che leggiamo sui giornali. Credo che l’Italia debba pretendere assolutamente la verità e il fatto che noi siamo un Paese che ha depistato, che ha avuto stragi e ha avuto apparati istituzionali molto poco fedeli, non significa che l’attuale rappresentanza dello Stato sia espressione diretta di quel passato. E questo comunque non c’entra con i diritti di un popolo: qui in gioco c’è prima di tutto la verità nei confronti della famiglia  e poi il diritto del popolo italiano a sapere che cosa è accaduto ad un nostro concittadino che si era recato in Egitto a studiare. Non sappiamo fino in fondo che cosa stesse facendo ma sappiamo purtroppo qual è stata la sua orribile fine. L’Italia deve sapere! E mi auguro che non ci siano cedimenti e che la Procura di Roma, i servizi, la Presidenza del Consiglio, svolgano il proprio ruolo fino in fondo, pretendendo la verità.

 

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Umberto Zimarri
..Io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...

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