“Sono uomo: non considero nulla di ciò che è umano come cosa che possa non toccarmi”.
(Publio Terenzio Afro, Il punitore di se stesso, 163 a.c.)
L’omicidio volontario rappresenta la categoria estrema di comportamento violento, la forma massima di prevaricazione sull’altro, uno degli atti più deprecabili che l’essere umano possa compiere nei confronti di individui della propria specie. Nonostante l’importanza primaria del diritto alla vita, nella pratica, nessuna società ne ha mai assicurato una tutela assoluta, vietando l’uccisione in ogni caso. In passato, molte comunità praticavano il sacrificio umano in onore delle divinità; ancora oggi è ammesso e in alcuni casi addirittura premiato, l’uccisione del nemico in guerra; diversi ordinamenti odierni prevedono la soppressione della vita umana (pena di morte) tra le possibili sanzioni penali per i reati considerati più gravi.
L’atto dell’uccidere un simile è una condotta tanto riprovevole quanto diffusa nel percorso culturale dell’essere umano.
Secondo la Bibbia, la storia dell’uomo inizia proprio con un delitto, un fratricidio. Nel quarto capitolo della Genesi, si narra della morte di Abele per mano di suo fratello Caino: per la tradizione cristiana, si tratta del primo omicidio in assoluto, probabilmente il più famoso di tutti i tempi. Dal testo, emerge come il tragico evento sia la conseguenza dell’invidia, cui fa seguito la collera, di un uomo (Caino) nei confronti del proprio fratello, colpevole ai suoi occhi, di aver ottenuto il gradimento del Signore.
La Bibbia riserva solo pochi versetti alla vicenda e lascia molti punti oscuri, soprattutto sulla dinamica del delitto: come è morto Abele?
Mettendo da parte i testi Sacri e le teorie creazioniste, nella prospettiva scientifica dell’evoluzionismo, il primo omicidio documentato si è verificato tra i 50 mila e i 75 mila anni fa sui Monti Zagros, nel nord-est dell’attuale Iraq. Secondo l’antropologo americano Steven Churchill, professore della Duke University in North Carolina, l’autore del delitto fu un Homo Sapiens che uccise un Neandertal. Anche su questa vicenda però, ci sono zone d’ombra e pareri discordanti, soprattutto sull’arma utilizzata. Secondo Churchill si trattò, senza dubbio, di una freccia scagliata da una distanza relativamente breve che si conficcò nel torace della vittima. La prova sarebbe racchiusa nell’evidente lesione della nona costola sinistra. Per Guido Barbujani, genetista dell’Università di Ferrara, invece, le ferite furono provocate da un pugnale che perforò il polmone, di cui restano evidenti segni tra due costole.
Le analisi incrociate dei biochimici, hanno permesso di ricostruire alcuni aspetti della vita di Shanidar-3 (con questo nome è stata ribattezzata la vittima). Il Neandertal era un anziano, forse capo tribù, sui quaranta-cinquanta anni, tormentato dall’artrite che morì dopo una lunga agonia. Il colpo ricevuto, pur violento, non gli provocò la morte immediata. Furono le successive terribili infezioni a risultare letali.
Indipendentemente dal primo delitto, la storia dell’uomo è contrassegnata da uccisioni, assassini, torture, genocidi, crimini. La guerra rappresenta il palcoscenico prediletto, il luogo dove la crudeltà trova uno sfogo illimitato.
Da un’attenta analisi dello storico Davien si evince che dal 1496 a.C. al 1861 d.C. si sono avuti 227 anni di pace e 3357 anni di guerra, in ragione di tredici anni di guerra per ogni anno di pace. Dall’anno 1560 a.C. all’anno 1860 d.C. furono conclusi più di 8000 trattati di pace, destinati a durare in eterno: la loro durata media di validità fu invece di 2 anni.
Carty ed Ebling ne “La storia naturale dell’aggressività” scrivono: «Dal 1820 al 1945 ben 59 milioni di uomini sono stati uccisi in guerre o altri conflitti mortali»[1].
Ma sarebbe fuorviante e limitante prendere in considerazione solo le guerre.
La storia del potere, della sua conquista e del suo mantenimento, dei suoi retroscena e delle sue oscenità, è una storia piena di delitti riusciti e tentati, di esecuzioni di massa, di morti sospette, di falsi suicidi, di avvelenamenti, di vittime e mandanti.
Tra gli imperatori romani ad esempio, Caligola era considerato un uomo malvagio e perverso che provava piacere ad assistere a torture ed esecuzioni capitali; fu assassinato dopo solo 4 anni di trono.
Nerone invece, avvelenò il fratellastro, fece uccidere la madre Agrippina e la zia paterna per impossessarsi dei beni; diede ordine di incendiare Roma provocando la morte di tanti innocenti ma, non contento, accusò i cristiani di essere i veri responsabili e li fece massacrare[2].
Diocleziano è ricordato soprattutto per la ‘grande persecuzione’ nei confronti dei cristiani, la più vasta e sanguinosa.
Il re degli Unni, Attila, era soprannominato per la sua ferocia, flagellum Dei (flagello di Dio). Con i suoi metodi selvaggi e brutali seminò il terrore in mezza Europa. Le leggende raccontano che le sue pratiche cannibalistiche non risparmiarono neppure i figli Erp ed Eitil, arrostiti nel miele dalla moglie e serviti come cena al marito. A volte, bastava pronunciare il suo nome per vincere la resistenza dei nemici. Venne sepolto con tre bare: una d’oro, una d’argento e una di ferro, come simbolo delle ricchezze conquistate e della potenza delle armi. In suo onore, dopo la sepoltura, coloro che scavarono la fossa e interrarono le bare, furono barbaramente uccisi.
Il principe Vlad III di Valacchia, era conosciuto con il nome di Tepes che in rumeno significa “impalatore”. Amante della tortura, obbligò al “supplizio del palo” migliaia di nemici. In una lettera inviata al Re di Ungheria, Mattia Il Giusto, nel febbraio del 1462, rivelò di aver giustiziato 23883 turchi in 3 mesi. Creò metodi diversi per impalare ricchi, adultere, mercanti, ladri, traditori e guerrieri. La sua morte rimane avvolta dal mistero. Comunemente conosciuto come Conte Dracula, fu colui che ispirò lo scrittore irlandese Bram Stoker nella creazione del personaggio principale del suo romanzo.
Memore delle malefatte del potere nel passato, testimone di quelle del presente e preoccupato delle prospettive future, Montesquieu, nel IV capitolo della sua opera capolavoro, De l’esprit des lois (Lo spirito delle leggi), scriveva: «E’ un’esperienza eterna che chiunque abbia un determinato potere sia portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova dei limiti […] Perché non si possa abusare del potere occorre che, per la disposizione delle cose, il potere arresti il potere ». Nel suo saggio, ribadiva la necessità della separazione e suddivisione del potere. Era il 1748.
Purtroppo anche negli ultimi secoli, non sono mancati, regimi e dittatori con la loro immane scia di sangue: dai celebri Hitler[3] e Stalin[4] di cui si sa tanto, ai 30 anni di governo di Mobutu[5], lo spietato leader assassino dello Zaire, di cui si sa poco o nulla; dai quasi 4 milioni di vittime di Pol Pot[6] in Cambogia, a quelle imprecisate di Mao Tze-tung[7] in Cina; dal Pinochet cileno[8] al “Pinochet africano” Habrè[9], accomunati dall’efferatezza dei loro governi. La lista è tristemente lunga e comprende anche Franco[10], Mussolini, Ceausescu[11], Salazar[12], Milosevic, Amin Dada[13], Gheddafi, Saddam Hussein, Kim Jong-il[14], Omar Al-Bashir[15] e tanti altri ancora in vita e non.
“Ogni volta che un dittatore muore o il mondo viene a sapere delle torture inflitte a chi ha vissuto sotto questo o quel regime, invariabilmente si leva il grido che cose simili non dovranno mai più essere permesse. Purtroppo però, fatti del genere continuano a ripetersi da un continente all’altro e, anche se ormai siamo entrati nel XXI secolo, vi è tuttora gente che soffre per mano di individui la cui natura psicopatica o le passioni ideologiche esigono la sottomissione o l’annientamento di quanti sono da essi governati. Le ragioni che spingono i tiranni non muoiono mai; disgraziatamente, non si può dire altrettanto per le loro vittime”[16]. Anche per questi motivi, risulta necessario l’esistenza di un insieme di limiti e controlli all’esercizio del potere. In tale prospettiva, la democrazia continua a rimanere “il peggior sistema di governo, esclusi tutti gli altri sperimentati finora” come ha sostenuto Winston Churchill. Ugualmente significative sono le parole del teologo americano Niebuhr: «proprio per la naturale tendenza umana al bene, la democrazia è possibile; proprio per la naturale tendenza umana al male, la democrazia è necessaria»; e il pensiero di Lord Acton, secondo cui il potere, di per sé, corrompe e può uccidere, mentre il potere assoluto corrompe e uccide assolutamente. Seguendo questa linea interpretativa, il politologo Rudolph J. Rummel ha coniato il termine democidio, riferendosi all’assassinio di qualsiasi persona o gruppo di persone da parte di un governo. Rientrano in tale categoria anche il genocidio, l’omicidio politico e l’omicidio di massa. Secondo le sue ricerche, il numero di morti per democidio solo nel XX secolo, sarebbe sei volte superiore a quello delle vittime provocate da tutte le guerre dello stesso secolo. Tra tutte le forme di governo, sostiene Rummel, la democrazia è quella che ha meno probabilità di uccidere i propri cittadini.
“La più orribile distruttività umana non si incontra sotto forma di comportamento selvaggio, regressivo, primitivo, ma sotto forma di attività ordinate e organizzate nelle quali la distruttività degli esecutori è amalgamata con la convinzione assoluta circa la loro grandezza e con la loro devozione a figure arcaiche onnipotenti”[17].
Non mancano inoltre, esempi di nobili e aristocratici che hanno utilizzato la loro posizione di privilegio per commettere gli omicidi e i crimini più cruenti. Il maresciallo di Francia, Gilles de Rais, eroe nazionale per le sue imprese militari (combatté al fianco di Giovanna D’Arco), uno degli uomini più ricchi e potenti del XV secolo, si macchiò di delitti abominevoli: l’uccisione, dopo torture estreme, di centinaia di bambini, per lo più figli di poveri contadini, che faceva rapire da persone di fiducia.
La contessa Dina Lodron, moglie di Ettore di Castel Romano, di giorno cercava di attirare più giovani possibili nel suo castello e dopo aver passato con loro l’intera notte, alle prime luci dell’alba li gettava in un pozzo sul cui fondo c’erano lance acuminate che li trafiggevano. Il marito, al corrente di tutto, preferì tacere tradimenti e omicidi.
Agli inizi del ‘600 in Ungheria, divenne tristemente famosa, la contessa Erzsebet Bathory. Per evitare di invecchiare, convinta da maghe e fattucchiere, faceva frequenti bagni di sangue, sacrificando giovani ragazze. Centinaia furono le sue vittime. Fino a quando non si accanì su una giovane nobile, gli omicidi le vennero sempre perdonati in quanto cugina del re.
In genere, i crimini degli aristocratici, anche i più sanguinari sono stati tante volte tollerati, nascosti o coperti. Nel Settecento nobili e clero godevano di procedure giudiziarie meno rigorose in appositi fori e di condanne più moderate rispetto agli altri cittadini: erano esenti dalla gogna, dall’infamia, dalla galera, dalla forca e le pene erano spesso risolvibili con ammende pecuniarie. Consapevole di tutto ciò, Cesare Beccaria nel 1764 in “Dei delitti e delle pene” scrive: «Quali saranno dunque le pene dovute ai delitti dei nobili, i privilegi dei quali formano gran parte delle leggi delle nazioni? […] Io mi ristringerò alle sole pene dovute a questo rango, asserendo che esser debbono le medesime pel primo e per l’ultimo cittadino. Ogni distinzione, sia negli onori, sia nelle ricchezze, perché sia legittima suppone un’anteriore uguaglianza fondata sulle leggi, che considerano tutti i sudditi come egualmente dipendenti da esse»[18] .
La storia delle religioni è contrassegnata anche da guerre, crociate, sante inquisizioni, attentati, omicidi, stupri, fondamentalisti, fanatici, terroristi, pedofili, orrori: in tutto questo, la Chiesa cattolica non è esente da responsabilità. Tra i Pontefici, particolarmente discussa fu la figura di papa Alessandro VI. Alla fine del 1400 la sua condotta, dominata dal cinismo e dalla corruzione, scandalizzò tutto il mondo. Furono anni caratterizzati dagli eccessi: avvelenamenti, orgie, rapporti incestuosi, mariti ammazzati perché inutili o fastidiosi. Ebbe sette figli con donne diverse, numerose amanti e si dice che morì invocando Satana. Dopo la sua elezione, Giovanni de Medici commentò: “Ora siamo nelle grinfie del lupo più selvaggio che il mondo abbia mai visto. O scappiamo o lui, senza dubbio alcuno, ci divorerà”.
Molti secoli prima, papa Leone I Magno, giustificò l’omicidio contro gli eretici considerati nemici dello stato e della fede. Nel IX secolo Leone IV, il papa guerriero, guidò lui stesso una flotta contro i Saraceni, invocando Dio per sconfiggere i nemici. Allo stesso modo si comportò pochi anni dopo Giovanni VIII uccidendo musulmani e altri avversari. Nel XI secolo Leone IX noto per l’intolleranza dottrinale e la rivendicazione della supremazia del papato, provocò lo scisma ancor oggi non sanato con la Chiesa d’oriente, fece ammazzare molte persone nelle battaglie da lui guidate per delle terrene esigenze di espansione territoriale.
Che fosse doveroso uccidere, lo confermavano i massimi dottori della Chiesa. Nel 1128 Bernardo di Chiaravalle scrisse nel De laude novae militiae ad Milites Templi (La lode della nuova milizia ai Soldati del Tempio): “eliminare questi operatori di iniquità [i turchi] che vagheggiano di strappare al popolo cristiano le ricchezze racchiuse in Gerusalemme, ecco la più nobile delle missioni per coloro che hanno abbracciato la professione delle armi. Il Cavaliere del Cristo quando uccide un malfattore, non è un omicida ma un malicida”. Uccidere per estirpare il male dunque, come ribadito da Gregorio IX nel 1233: “Non è decoroso per la Sede Apostolica astenersi dallo spargimento di sangue mentre l’Ebreo e il Medianita lottano sotto i suoi occhi, potrebbe sembrare, se non intervenisse, che non ha a cuore il popolo d’Israele”[19].
Molte altre sono le figure religiose che si sono macchiate direttamente o indirettamente di omicidi. La cosa più triste forse, è che la maggior parte di questi personaggi sono diventati santi della Chiesa cattolica e venerati come esempio per i fedeli.
Anche nelle classi popolari non sono mancati delitti e storie macabre: dal sarto di Chalons[20] che uccideva e mangiava bambini, al “lupo mannaro” tedesco Peter Stumpf [21]; dagli omicidi di briganti e banditi nell’Italia del Sud di fine ‘800 e inizio ‘900, ai numerosi delitti mediatici degli ultimi anni. La lista dei casi è sconfinata e non risparmia nessuna zona della Terra, ad esclusione di quelle in cui l’uomo non è mai vissuto.
Spinti dalle motivazioni più disparate, gli esseri umani, di qualsiasi ceto e condizione sociale, hanno compiuto ripetutamente nel corso del tempo, gli atti violenti più estremi nei confronti dei propri simili. L’omicidio appare una triste e inestirpabile costante della storia evolutiva dell’uomo.
Fonti:
[1] K. LORENZ, L’aggressività, Il saggiatore, Milano 2008, p. 8
[2] V.M. MASTRONARDI, R. DE LUCA, I serial killer, Newton & Compton, Roma 2006, p. 29
[3] Una media tra le varie fonti calcola in circa 16 milioni (tra ebrei, omosessuali, zingari, criminali, handicappati, oppositori politici, ecc.) i morti del regime di Adolf Hitler.
[4] Secondo Aleksandr Jakovlev, che diresse la Commissione per la riabilitazione delle vittime delle repressioni, creata dal presidente Eltsin nel 1992, i morti causati dal regime di Stalin furono oltre 20 milioni.
[5] JOSEPH DESIRE’ MOBUTU, dittatore anticomunista. La sua ascesa al potere, negli anni ’60, fu fortemente appoggiata da USA, Francia e dai governi occidentali in generale. E’ considerato il più feroce dittatore africano.
[6] SALOTH SAR detto POL POT, dittatore comunista della Cambogia dal 1976 al 1979. Organizzò le formazioni guerrigliere dei Khmer Rossi, attraverso cui diede vita ad un regime di terrore fondato sulla “rieducazione” contadina e comunista della società cambogiana: le popolazioni delle città furono deportate nelle campagne, furono abolite la moneta e la proprietà, vietata la libera circolazione delle persone, soppressa l’educazione scolastica, se non quella impartita nei “campi di rieducazione”, vennero bruciati libri, la cultura era considerata un nemico. Douch,il professore di matematica, boia di Pol Pot, che aveva il compito di sterminare la classe intellettuale cambogiana, ha rivelato che dentro il liceo di Tuol Sleng (scuola trasformata in un centro di tortura), nel cuore della capitale Phnom Penh, di oltre 17000 persone entrate solo sei ne uscirono vive. Si calcola che circa 1/3 della popolazione perse la vita nei 4 anni di regime.
[7] Si stima che a causa della sua politica morirono tra i 13 e i 46 milioni di cinesi. Il numero varia a seconda delle fonti: 13 milioni per il Governo cinese, dai 20 ai 30 secondo il sinologo Fairbank in “Storia della Cina contemporanea”, 30 milioni secondo il giornalista di ‘The Guardian’ Jasper Becker nel suo libro “La rivoluzione della fame”, da 20 a 40 secondo il sociologo Daniel Chirot, da 43 a 46 secondo il dissidente Chen Yizi.
[8] AUGUSTO JOSE’ RAMON PINOCHET UGARTE. La sua dittatura (dal 1973 al 1990) fu caratterizzata da uccisioni (oltre 3000), arresti arbitrari, torture e violazioni sistematiche dei diritti umani.
[9] HISSENE HABRE’, Presidente del Ciad dal 1982 al 1990. Ritenuto responsabile dell’uccisione di circa 40mila persone.
[10] FRANCISCO FRANCO, Generale e dittatore spagnolo. Instaurò un regime noto come “franchismo” che perdurò dal 1939, anno in cui prese il potere al termine della guerra civile, fino al 1975, anno della sua morte. Appoggiato da Hitler e Mussolini, il suo governo si caratterizzò per le violenti repressioni degli oppositori.
[11] NICOLAE CEAUSESCU, dittatore comunista della Romania dal 1967 al 1989. Fu accusato di crimini contro lo Stato, genocidio, distruzione dell’economia nazionale e di aver portato alla povertà la popolazione rumena.
[12] ANTONIO de OLIVEIRA SALAZAR, dittatore del Portogallo dal 1932 al 1968. Soppresse i sindacati, i partiti, la libertà di stampa ed ogni altro tipo di opposizione politica o di dissidenza in grado di danneggiare l’egemonia del regime. Nel 1933 crea la PIDE (Polícia Internacional e de Defesa do Estado), la polizia politica segreta con compiti repressivi.
[13] IDI AMIN DADA, dittatore dell’Uganda dal 1971 al 1979. L’International Commission of Jurists ritiene che il numero delle vittime del suo regime siano non meno di 80.000 e verosimilmente vicine ai 300.000. Il suo segretario particolare nonché Ministro della Giustizia fu il primo a parlare delle sue pratiche cannibalistiche.
[14] Dittatore nordcoreano dal 1994 al 2011. Secondo Amnesty International, la situazione delle libertà fondamentali e dei diritti umani della Corea del Nord è una delle peggiori del mondo.
[15] E’ l’attuale Presidente del Sudan. Nel marzo del 2009, la Corte penale internazionale dell’Aja ha spiccato un mandato di arresto nei suoi confronti per crimini di guerra e crimini contro l’umanità (per i massacri del Darfur), tra cui omicidio, sterminio, trasferimenti forzati, tortura e stupro. Si calcola che i massacri nella regione sudanese iniziati nel 2003, hanno provocato circa 300.000 morti e 2 milioni e mezzo di sfollati.
[16] S. KLEIN, M. TWISS, I personaggi più malvagi della storia, Newton & Compton, Ariccia 2005, introduzione.
[17] H. KOHUT, La ricerca del Sé, Boringhieri, Torino 1976, p. 142
[18] C.BECCARIA, Dei delitti e delle pene – Consulte criminali, Garzanti, Milano 2006, pp. 48-49
[19] E. BUONAIUTI, Storia del Cristianesimo, Newton & Compton, Roma 2002.
[20] Sarto francese che sul finire del ‘500 uccise un numero imprecisato di bambini. Adescava le piccole vittime nella sua bottega oppure rapiva i bambini che si smarrivano nei boschi che circondavano la cittadina di Chalons. Processato e condannato a morte, i giudici fecero mettere al rogo gli atti del processo, ritenendoli troppo pieni di descrizioni macabre.
[21] Terrorizzò gli abitanti delle campagne di Colonia andando in giro indossando una cintura di pelle di lupo. Diede la caccia soprattutto a ragazze, donne e bambini che violentava e uccideva selvaggiamente, dilaniando i corpi.